L'acqua del lago non è mai dolce

Giulia Caminito, L'acqua del lago non è mai dolce, Bompiani, 2021, pp. 304, € 18,00.

Libro finalista al Premio Strega 2021.



Odore di alghe limacciose e sabbia densa, odore di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano, dove approda, in fuga dall'indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla testardaggine che da sola si occupa di un marito disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima, Antonia non scende a compromessi, Antonia crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua unica figlia femmina a contare solo sulla propria capacità di tenere alta la testa. E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni giorno su un regionale per andare a scuola, a leggere libri, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo. Sembra che questa ragazzina piena di lentiggini chini il capo: invece quando leva lo sguardo i suoi occhi hanno una luce nerissima. Ogni moto di ragionevolezza precipita dentro di lei come in quelle notti in cui corre a fari spenti nel buio in sella a un motorino. Alla banalità insapore della vita, a un torto subìto Gaia reagisce con violenza imprevedibile, con la determinazione di una divinità muta. Sono gli anni duemila, Gaia e i suoi amici crescono in un mondo dal quale le grandi battaglie politiche e civili sono lontane, vicino c’è solo il piccolo cabotaggio degli oggetti posseduti o negati, dei primi sms, le acque immobili di un’esistenza priva di orizzonti. 

Giulia Caminito dà vita a un romanzo ancorato nella realtà e insieme percorso da un’inquietudine radicale, che fa di una scrittura essenziale e misurata, spigolosa e poetica l’ultimo baluardo contro i fantasmi che incombono. Il lago è uno specchio magico: sul fondo, insieme al presepe sommerso, vediamo la giovinezza, la sua ostinata sfida all'infelicità.




Il problema sembra essere sempre lo stesso: si è sempre alla ricerca del proprio posto nel mondo. Sembra che sia una ricerca che affligge un po' tutti e i libri ne danno testimonianza. In fondo è quello che facciamo tutti anche se non sempre ce ne rendiamo conto.

Anche la protagonista de L'acqua del lago non è mai dolce cerca il suo posto in un mondo in cui si sente estranea, scartata, fuori posto, a cui sembra non appartenere. 


Essere diverso, difettoso, ti danneggia e rimanere perfettamente allineato ti aiuta a mescolarti e a non farti notare.


Si esiste quando gli altri hanno capito con certezza chi sei.


Vive una vita familiare piena di difficoltà, di privazioni, di mancanze che cerca di colmare in qualche modo che non sempre è quello giusto. Cerca di farsi accettare dagli altri, di piacere agli altri, di farsi amare, ma non sempre ci riesce. Ma non lo facciamo un po' tutti? Non abbiamo tutti dei buchi neri che proviamo a colmare ognuno a suo modo spesso causando solamente altro male a noi stessi e agli altri?


Noi non abbiamo i cellulari, non abbiamo la televisione, non abbiamo un computer, noi senza mezzi, senza possibilità di comunicazione, chiusi nel passato di un mondo che sta correndo al galoppo, ci sorpassa, ci schiaccia sotto i suoi zoccoli duri.


Io devo smettere quanto prima di essere bambina difettosa e trasformarmi in donna da poter amare.


La storia raccontata in questo libro, purtroppo, riguarda ancora troppe persone che lottano ogni giorno per ottenere dei diritti che dovrebbero essere per tutti ma che, troppo spesso, non lo sono, che sembrano essere privilegio.

Siamo troppo abituati a dare tutto per scontato e non ci rendiamo conto delle difficoltà che può attraversare chi, magari, ci sta accanto ogni giorno.

Ecco, questo libro ci dice che le difficoltà esistono e che tutti dovremmo avere più attenzione. Ci dice anche che ognuno di noi ha i propri mostri con cui combatte ogni giorni, anche chi pensiamo che stia meglio di noi e che non abbia bisogno di nulla.

Il tutto è raccontato con una scrittura quasi frenetica, nervosa, che, a volte, appare quasi poco controllata. Ma è anche una scrittura che trasmette la necessità di raccontare, di portare fuori qualcosa che si ha dentro e che, forse, non si ha mai avuto il coraggio di dire.



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