Daniele Mencarelli, Fame d'aria, Mondadori, 2023, pp. 180, € 19,00.
Tra colline di pietra bianca, tornanti, e paesi arroccati, Pietro Borzacchi sta viaggiando con il figlio Jacopo. D’un tratto la frizione della sua vecchia Golf lo abbandona, nel momento peggiore: di venerdì pomeriggio, in mezzo al nulla.
Per fortuna padre e figlio incontrano Oliviero, un meccanico alla guida del suo carro attrezzi che accetta di scortarli fino al paese più vicino, Sant’Anna del Sannio. Quando Jacopo scende dall’auto è evidente che qualcosa in lui non va: lo sguardo vuoto, il passo dondolante, la mano sinistra che continua a sfregare la gamba dei pantaloni, avanti e indietro. In attesa che Oliviero ripari l’auto, padre e figlio trovano ospitalità da Agata, proprietaria di un bar che una volta era anche pensione, è proprio in una delle vecchie stanze che si sistemano. Sant’Anna del Sannio, poche centinaia di anime, è un paese bellissimo in cui il tempo sembra essersi fermato, senza futuro apparente, come tanti piccoli centri della provincia italiana.
Ad aiutare Agata nel bar c’è Gaia, il cui sorriso è perfetta sintesi del suo nome. Sarà proprio lei, Gaia, a infrangere con la sua spontaneità ogni apparenza. Perché Pietro è un uomo che vive all’inferno. “I genitori dei figli sani non sanno niente, non sanno che la normalità è una lotteria, e la malattia di un figlio, tanto più se hai un solo reddito, diventa una maledizione.” Ma la povertà non è la cosa peggiore. Pietro lotta ogni giorno contro un nemico che si porta all’altezza del cuore. Il disamore. Per tutto. Un disamore che sfocia spesso in una rabbia nera, cieca.
Il dolore di Pietro, però, si troverà di fronte qualcosa di nuovo e inaspettato. Agata, Gaia e Oliviero sono l’umanità che ancora resiste, fatta il più delle volte di un eroismo semplice quanto inconsapevole.
Con Fame d’aria, Daniele Mencarelli fa i conti con uno dei sentimenti più intensi: l’amore genitoriale, e lo fa portandoci per mano dentro quel sottilissimo solco in cui convivono, da sempre, tragedia e rinascita.
Questo libro è un pugno nello stomaco. È un libro che ci costringe a fare i conti con noi stessi, con le nostre paure, con le nostre fragilità e, soprattutto, con i nostri fantasmi. Così come il protagonista, Pietro, che vive una vita piena di sofferenza e di difficoltà nella cura del figlio, Jacopo, affetto da autismo grave. Pietro si sente schiacciato dal peso della malattia, dalle difficoltà da affrontare ogni giorno, dalle spese, sempre più cospicue, per le cure e per tutto ciò di cui Jacopo ha bisogno. Pietro si sente soffocare da una quotidianità che vorrebbe poter cambiare o dalla quale vorrebbe provare a scappare. E in un certo senso prova a farlo, prova a chiedere aiuto senza chiederlo veramente, anche se ogni suo gesto, ogni sua risposta rappresenta uno stridente e doloroso grido di aiuto.
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