Albert Camus, La peste, 1947, in edizione Bompiani.
Leggendo questo libro ho avuto un déjà-vu.
Camus narra i fatti avvenuti a Orano, un piccolo centro della costa algerina, in tempi lontani da noi. Eppure a me è sembrato di rivedere tutti noi in un passato molto recente: il 2020 quando, quasi da un giorno all'altro, la pandemia invase prepotentemente le nostre vite travolgendole e trasformandole.
Camus racconta come l'avvento della peste abbia colto la popolazione impreparata e come nessuno fosse realmente in grado di sapere cosa fare.
Nel mondo ci sono state tante epidemie di peste quante guerre. Eppure la peste e la guerra colgono sempre alla sprovvista.
Spaventati sì, ma non disperati, non erano ancora giunti al momento in cui avrebbero guardato alla peste come alla forma stessa della loro vita dimenticando l'esistenza che avevano condotto prima della sua apparizione.
Camus descrive i cambiamenti che la peste porta nella quotidianità e nella vita delle persone che, piano piano, imparano a vivere delle nuove vite, come se ciò che avevano vissuto fino a quel momento non fosse mai esistito.
E allora mi è venuto da pensare e da chiedermi se fosse veramente così, se davvero siamo capaci di abituarci a tutto.
Mi sono guardata attorno, ho guardato a ciò che succede nel mondo, ma anche a ciò che avviene ogni giorno davanti ai nostri occhi e mi sono risposta che forse è veramente cosi: siamo assuefatti e indifferenti, incapaci di agire e reagire anche davanti a ciò che ci indigna, ci offende.
E per questo ho trovato la riflessione finale, che Camus affida a uno dei suoi personaggi, molto attuale e perfettamente calzante.
La peste è dentro di noi, e tutto ciò che di cattivo abita in ognuno di noi e di cui non ci sorprendiamo più.
Ma se provassimo a estirpare questo male, la peste che ci abita, forse la pace potrebbe essere finalmente possibile.
Col tempo mi sono reso conto che oggi anche quelli che erano migliori di altri non potevano fare a meno di uccidere o di lasciare che si uccidesse, perché questa era la logica nella quale vivevano e che in questo mondo non potevano fare un gesto senza rischiare di morire. [...] ho capito che eravamo tutti in preda alla peste e ho perso la pace.
[...] ognuno deve fare il possibile per non essere più un appestato e che solo questo può farci sperare nella pace. [...] So per certo che ciascuno la porta in sé, la peste, perché nessuno, no nessuno al mondo ne è immune.
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