Chiara Bianchi, Il canto della fortuna - La saga dei Rizzoli, Salani, 2024, pp. 480, € 19,00.
Milano, fine Ottocento. Quando varca per la prima volta la soglia dell’orfanotrofio, Angelo Rizzoli ha otto anni, indossa un maglione più grande di un paio di misure e delle scarpe da adulto che lo fanno camminare come una papera. Il funzionario che lo registra all’ingresso scrive sulla scheda d’ammissione: ‘Una vita di stenti’. In quel piccolo mondo pieno di regole – e di punizioni – Angelo è felice: povero tra i poveri, impara che per fare strada bisogna compiere sacrifici, correre dei rischi e, soprattutto, credere in se stessi. Prende la licenza elementare e viene impiegato nella bottega di un orafo, ma quel lavoro non fa per lui, come non fa per lui stare sotto un padrone. Poi, quasi per caso, si propone a una tipografia. Inebriato dall’odore di inchiostro, stregato da tutti quei caratteri ordinati nei cassetti dei compositori, trova il suo mestiere. E diventa ogni giorno più bravo, ogni giorno più determinato.
Qualche decennio dopo, Angelo è su un volo diretto a Los Angeles. Stringe tra le labbra una sigaretta finta. È il re delle riviste, dei libri, del cinema. Parla alla pari con il Presidente del Consiglio.
È circondato da attrici e scrittori, da arrivisti e da nemici.
Ha fatto di Ischia un piccolo paradiso.
È il patriarca di una famiglia turbolenta, di cui tiene le fila grazie a sua moglie Anna.
Il figlio Andrea è diventato il primo presidente di una squadra di calcio ad alzare la Coppa dei Campioni.
I suoi nipoti sono gli eredi di un impero che sembra indistruttibile.
Intrecciando la parabola dirompente dei Rizzoli con le loro passioni private, sullo sfondo di un’Italia che attraversa due guerre e profondi cambiamenti sociali, Chiara Bianchi ricostruisce il complesso mosaico di una dinastia che ha incarnato le laceranti contraddizioni di un secolo e tutto il suo fascino.
La storia di Angelo Rizzoli è il racconto di come si possa costruire molto pur partendo da nulla, credendoci e senza arrendersi.
Angelo Rizzoli ha vissuto un'infanzia di povertà, alleviata dalla permanenza in un orfanotrofio, dove capisce che ognuno può contare solo su sé stesso e sulle proprie forze.
Inizia a lavorare prestissimo e, quando arriva in una tipografia, viene quasi stregato dall'odore dell'inchiostro e dal lavoro delle macchine. È lì che capisce veramente cosa vuole fare e soprattutto che non vuole dipendere da nessuno ma che gli altri dipendano da lui. Questo sarà quasi un mantra per Angelo che non lascerà mai troppo spazio agli altri nelle decisioni da prendere, siano essi dipendenti, collaboratori, figli.
Angelo è il patriarca di una famiglia che sembra sempre sull'orlo di disintegrarsi, ma che grazie alla moglie Anna riuscirà a rimanere sempre unita e compatta, nonostante il carattere quasi dispotico di Angelo. È come se lui avesse già scritto il futuro di tutta la sua famiglia, dei suoi figli e dei suoi nipoti e le opinioni, le proposte e soprattutto i desideri di ognuno, per lui, saranno solo come dei fastidiosi ronzii di una mosca che vorrebbe schiacciare.
Il canto della fortuna è la storia di un uomo che ce l'ha fatta da solo e che, però, sente quasi costantemente il bisogno di dimostrare che può fare tutto ciò che vuole e desidera senza chiedere a nessuno, anche quando ciò che punta a realizzare è, nei fatti, qualcosa di irrealizzabile.
Ho apprezzato molto questo libro perché Chiara Bianchi, con una scrittura lineare, scorrevole e capace di rapire il lettore, non ha raccontato solo l'ascesa e i successi di Angelo Rizzoli, ma ha evidenziato anche le parti più ombrose e scure di un uomo che non ha mai smesso di credere in sé stesso e nelle proprie capacità e potenzialità.
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