Intermezzo
Sally Rooney, Intermezzo, Einaudi, 2024, pp. 432, € 22,00.
A parte il fatto di essere fratelli, Peter e Ivan Koubek sembrano avere poco in comune. Peter è un avvocato di Dublino sui trent’anni – affermato, abile e apparentemente irreprensibile. Ma, ora che gli è morto il padre, prende farmaci per dormire e si barcamena con fatica fra due relazioni con donne molto diverse: il primo, imperituro amore, Sylvia, e Naomi, una studentessa universitaria per cui la vita è un’unica lunga barzelletta. Ivan è un campione di scacchi ventiduenne. Si è sempre considerato uno sfigato, un paria, l’antitesi del suo disinvolto fratello maggiore. Ora, nelle prime settimane dopo la perdita del padre, incontra Margaret, una donna piú grande che esce da un passato turbolento, e rapidamente e intensamente le loro vite si intrecciano. Per i due fratelli in lutto, e per le persone da loro amate, si apre un interludio, un periodo di desiderio, disperazione e nuove prospettive – l’opportunità di scoprire quante cose un’unica vita possa contenere senza per questo andare in pezzi.
Intermezzo è il primo libro che leggo di Sally Rooney. L’ho scelto perché ne ho sentito molto parlare e veniva annunciato quasi come il caso letterario dell’anno. Di solito non leggo subito i libri troppo pubblicizzati: preferisco far passare del tempo o non leggerli proprio. Ma stavolta mi sono voluta lasciar trascinare dalla corrente e ho letto Intermezzo provo a scriverne una recensione.
La lettura di questo libro non è stata tra le più semplici proprio per il modo in cui è scritto. L’autrice, pur portando avanti una narrazione in terza persona, sceglie di utilizzare il flusso di coscienza per esprimere quelli che sono i pensieri dei protagonisti e anche i dialoghi vengono risucchiati all’interno del flusso.
Ciò rende la lettura un po’ difficoltosa e, a volte, poco scorrevole perché ci si perde un po’ tentando di mettere insieme i pezzi.
Le tematiche affrontate sono interessanti, riguardano e coinvolgono un po’ tutti, ma credo che non ci sia molto di nuovo o inedito.
Il tema centrale del libro dovrebbe essere il lutto, ma ho avuto la sensazione che spesso avesse solo un ruolo marginale, mentre la narrazione si concentrava sulle psicosi di Peter o sulla ricerca di affermazione di Ivan.
Un lutto è sempre un evento traumatico che subiamo inermi di fronte a qualcosa che non abbiamo la capacità e la possibilità di poter controllare. Soprattutto quando a lasciarci è un genitore ancora giovani e non siamo figli non ancora abbastanza adulti da poter dire di potercela fare da soli.
Ci sono lutti che squarciano le nostre vite e che ci costringono a ricostruirci da zero, che annullano le nostre certezze e le nostre sicurezze.
Peter e Ivan, alla morte del loro padre, si trovano a dover ricostruire gli equilibri tra loro due, nel loro rapporto.
Ma per più di metà libro è come se si rifiutassero di guardare in faccia la realtà, di affrontare veramente la perdita e di provare a ricostruire qualcosa.
Suo padre, a cui non è mai stato particolarmente vicino, è morto poco più che sessantenne dopo cinque anni di cure per il cancro.
Un’eventualità che, una volta attesa, era stata procrastinata così a lungo che lui aveva cominciato a pensare che non si sarebbe mai verificata, finché non è successo. E lui è stato in un certo qual modo colto di sorpresa da quell’evento preannunciato. E ora è in un certo qual modo il capofamiglia di una famiglia che ha cessato di esistere.
Quante volte nella vita si è trovato a essere un osservatore impotente di sistemi apparentemente impenetrabili, a guardare altre persone che prendevano parte senza sforzo alcuno a strutture a cui lui non riusciva ad accedere, e che non sapeva decifrare. Così spesso da essere praticamente la norma, la sua esistenza quotidiana. E ciò non si deve solo alla natura irrazionale delle altre persone, e alla conseguente irrazionalità delle regole e dei processi che escogitano; si deve anche a lui, alla sua fondamentale inadeguatezza alla vita. Questo Ivan lo sa. Sente di essere stato, in qualche modo, plasmato con in mente qualcosa che non è la vita. Ha alcune buone qualità, diciamo, ma nessuna che gli sia davvero utile per vivere nel mondo in cui di fatto vive, l’unico mondo di cui si possa ragionevolmente dire che esiste.
Non saprei dire se questo libro mi sia piaciuto o meno. Credo che questo dipenda molto dallo stato d’animo di ognuno e dalle proprie esperienze.
Credo che non si possa parlare della perdita di un genitore giovane senza averla sperimentata: come ho già detto, è qualcosa di profondamente traumatico, che ti squarcia dentro, che ti lascia con un mucchio di macerie attorno alle quali, però, devi provare a ricostruire: te stesso, i rapporti familiari, i rapporti con gli altri.
Quindi, credo, che ogni lettore trarrà da questo libro la propria impressione, secondo la propria esperienza, il proprio stato d’animo e la propria capacità di affrontare e “resistere agli urti della vita”.
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