Andrea Dalmasso, Cento di questi giorni, Enzo Delfino Editore, 2017, pp. 167, € 4,99 (ebook).
Quando condividi un viaggio, non
puoi barare. Non puoi far credere di essere
un’altra persona. Puoi farlo ovunque
ma in viaggio no, non si può.
Protagonisti due colleghi alle dipendenze di un giornale locale di dimensioni infinitesime che, nel disperato, ultimo tentativo di salvare la propria redazione dal fallimento, intraprendono un viaggio impossibile attraverso l’Italia.
Orlandi e Provenza non possono ancora saperlo, quando partono a bordo di una sgangherata Citroën in un pomeriggio di fine estate, ma la loro amicizia crescerà e sopravviverà al tempo, ai fantasmi del passato, al rigore del viaggio, della prigione, di una bollente Sicilia in rivolta.
Dopo che l’ombra del tradimento arriva a turbare il loro equilibrio e un evento sconcertante li allontana, i due personaggi si ritrovano per caso nella stessa piazza vuota e assolata in un mattino d’agosto, la cui apparente quiete li costringerà a confrontarsi con gli equivoci del proprio coraggio e della propria vigliaccheria. Scopriranno così di condividere molto di più di un semplice lavoro.
La storia di Orlandi e Provenza, fotografo uno, giornalista l'altro, entrambi con un passato che si ripresenta, ci intriga e appassiona con le sue vicende complicate ed emozionanti a bordo di una vecchia Citroën, in un Sud in cui il vento sembra cambiato.
Cento di questi giorni è un libro che era rimasto fermo nella mia libreria digitale per qualche tempo, un po' perché vari impegni mi avevano impedito di mantenere le mie abitudini di lettura, un po' perché me lo aspettavo diverso.
Cento di questi giorni è un racconto di viaggio, ma di un viaggio diverso, particolare, strano. Credo che l'autore abbia usato il viaggio materiale, quello da Torino fino in Sicilia tra mille difficoltà e peripezie, come metafora del viaggio interiore dei due protagonisti che, alla fine del racconto, subiscono una metamorfosi psicologica e sentimentale.
Il libro potrebbe sembrare pieno di clichè e luoghi comuni, ma non è così, anzi proprio il racconto della rivolta degli studenti, a mio parere, ha l'obiettivo di sfatare il luogo comune di una Sicilia abituata a favoritismi e raccomandazioni, accettandoli senza ribellarsi.
I due protagonisti si ritrovano per caso a condividere questo viaggio che li vedrà confidarsi l'un l'altro, condividere pensieri e sentimenti intimi, fino a diventare amici "perché in viaggio non puoi barare".
Si ritroveranno ad affrontare le difficoltà di una terra come la Sicilia, piena di bellezza e contraddizioni. E alla fine ritorneranno a Torino più ricchi di emozioni e sentimenti di quando erano partiti.
Il finale è un finale aperto, ma con una dura scoperta che coglie il lettore un po' di sorpresa, anche se alcune avvisaglie, tra le righe, si sarebbero potute cogliere.
È un libro che fa riflettere su tante cose, ma che sa anche strappare un sorriso.
L'ho apprezzato molto e lo consiglio.
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