Il Dantedì è una giornata dedicata a Dante Alighieri e alla sua opera, con celebrazioni in tutta Italia, inoltre quest'anno ricorre il 700° anniversario della morte del Poeta.
Sul sito del Ministero dei Beni Culturali, dedicato a questo anniversario (dantesettecento.beniculturali.it), è possibile trovare l'elenco di tutti gli eventi.
Il culto di Dante
Nei secoli dal xv al xviii
diverse manifestazioni riguardanti l’esaltazione e la commemorazione di Dante
si susseguirono in diversi posti d’Italia, ma nessuna era mai stata una
celebrazione centenaria. L’unico tentativo in tal senso è stato fatto intorno
al 1821, anno centenario della nascita, con l’Accademia letteraria a Roma, al
termine della quale fu coronato l’alloro al busto del Poeta con la recitazione
di alcuni versi significativi. Ma per avere una vera e propria manifestazione
di commemorazione bisognerà aspettare il 1865, quando si tennero solenni
celebrazioni all’altezza del festeggiato, alla presenza del Re e di personalità
importanti e di spicco.[1] Il «mito» di Dante è andato propagandosi
e diffondendosi fin dalla sua morte, quando numerosi omaggi furono resi alla
memoria del poeta scomparso. Questo mito ha subito varianti ed evoluzioni nel
corso dei secoli, passando da momenti di estrema esaltazione, ad altri quasi di
sottovalutazione e di oblio.
Fin dal Trecento si ha la
diffusione di pubbliche letture delle opere del poeta, e poi, non bisogna
dimenticare che è a questi anni che risale il Trattatello in laude di Dante di Giovanni
Boccaccio. Il tutto avviene però, in una quasi totale indifferenza di Firenze.
La fama di Dante si diffonde però tra le fasce di pubblico più disparate e
l’elevato numero di copie manoscritte testimonia l’alto favore del pubblico.
L’intervento del Boccaccio è fondamentale per il cosiddetto passaggio dalla
“leggenda” a quello che diverrà un vero e proprio «mito».
Nel Quattrocento, la crisi del volgare ha provocato qualche
episodio di ripulsa nei confronti del poeta e delle sue opere, accanto, però, a
manifestazioni di riconoscimento e omaggio.
Nel Cinquecento si ripete, più o meno uguale, la stessa storia,
soprattutto per quanto riguarda la questione linguistica. Pietro Bembo,
infatti, non accolse la lingua di Dante come modello per la nuova lingua che
andava proponendo, preferendogli il Petrarca. Bembo ammirava Dante come poeta
ma non sembrava apprezzare il suo uso del volgare poco adatto alla poesia. Lo
stesso pensiero condivideva anche Machiavelli, ammiratore e imitatore di Dante
poeta, ma grande critico della sua lingua. Ma nonostante ciò, durante tutto il
secolo videro la luce numerosi commenti del poema e nuove edizioni. Non bisogna
dimenticare che il Cinquecento è un secolo importante per
Il Seicento rappresenta la crisi per la fortuna di Dante. È il
secolo in cui si ha il minor numero di edizioni pubblicate (soltanto tre)[2].
Un inizio di inversione di tendenza si ha a partire dal
Settecento, anche se il clima culturale del secolo non era molto favorevole al
poeta della Commedia. Tra i
detrattori, si distinse il Bettinelli con le Lettere Virgiliane (1757), un vero e proprio documento contro
Come già visto, sarà il Romanticismo a portare a un pieno recupero
di Dante e della sua opera. È durante questi anni che l’interesse per Dante
assume un valore e un significato particolari alla luce degli eventi nazionali.
Tra l’Ottocento e il Novecento ci sarà un forte sviluppo della critica e della
filologia dantesca, con lo scopo di fissare i testi e le opere di Dante[3]. Il
culto di Dante diventò sempre preponderante negli anni di preparazione al
Risorgimento. L’idea civile di Dante diventò materia prima nel pensiero
nazionale italiano e fu compresa nei suoi significati più alti e reconditi. Dal
Monti e dall’Alfieri procede il più gagliardo ed efficace impulso a quella che
Vincenzo Gioberti chiamerà la “risurrezione di Dante”, ravvisando in essa «la condizione
richiesta per il risorgimento del pensiero e dell’ingegno italiano dacchè il
principio dinamico per le nostre lettere sta nella Divina Commedia». Vengono poi il Leopardi e Alessandro Manzoni;
vengono i classicisti e i romantici, che intendono gli uni e gli altri a
difendere, a glorificare, a illustrare, a imitare l’opera del classico alunno
di Virgilio, che è al tempo stesso il poeta di quel medioevo che il
Romanticismo richiamava in onore.
Ecco
anche le più insigni scritture d’esegesi e biografiche, ecco un commento tenuto
ancor oggi in grande considerazione per le finissime osservazioni estetiche,
quello del Tommaseo; e una vita, quella del Balbo, che fu per quei tempi
utilissima cosa; e il Discorso del
Foscolo sul testo della Divina Commedia,
opera nuova e alta, che, dice il Mazzini, «condusse la critica sulle vie della
storia», ricercando in Dante non solamente il poeta «ma il cittadino, il
riformatore, l’apostolo religioso, il profeta della nazione».[4]
Il 1865 sarà l’anno centrale per la celebrazione di un vero omaggio
nei confronti di Dante. A partire da questo momento ci sarà un susseguirsi di
commemorazioni che si paleseranno nella dedica di statue e monumenti al poeta,
ma vedranno la luce anche insigni istituzioni fondate in nome dell’Alighieri:
la prima tra tutte è
Dal punto di vista letterario, il 1865 segna il punto d’avvio di
una serie di pubblicazioni dantesche e della nascita di riviste e periodici in
onore dell’Alighieri. Da non dimenticare è la pubblicazione del volume Dante e il suo secolo nato dalla
collaborazione di grandi studiosi ed estimatori di Dante, a testimonianza del fatto che
l’opera del Fiorentino non poteva essere compresa a prescindere dalla
conoscenza della realtà in cui era vissuto.
Nel 1888 viene fondata
L’altra importante data per quanto riguarda le celebrazioni in
favore di Dante, è il 1921: l’anno in cui ricorreva il sesto centenario dalla
morte.
In questo anno Croce pubblica La poesia
di Dante, in cui distingue nella Commedia
la poesia vera e propria dalla struttura. Croce vuole attrarre l’attenzione sul
fatto che bisogna tornare a concentrarsi sul testo, cercandone la vera natura e
il vero significato solo al suo interno.
Il
Filone Ideologico-Politico
Come già accennato, durante il Risorgimento ci fu
una riscoperta politica di Dante che viene assunto a simbolo della nazione e
della creazione di una patria comune. Una figura centrale che contribuì a
diffondere e a divulgare il culto di Dante come simbolo di nazione e di patria
fu Guido Mazzoni che considera
Le riflessioni di Mazzini nei
confronti del poeta fiorentino e del suo poema trovano il loro punto di
partenza negli studi di Ugo Foscolo sul poema dantesco. Mazzini invita a una
lettura delle opere minori di Dante, attraverso le quali è possibile
comprendere il carattere di vessillo nazionale del poeta: l’insieme delle opere
rappresenta una sorta di escalation per la comprensione e
l’interpretazione del pensiero di Dante che sembra rispecchiare la situazione
presente pur essendo stato espresso più di cinque secoli prima. Il genovese
vede nel poeta fiorentino una conferma dei principi e dei valori di cui egli si
faceva portatore in quegli anni. Egli pensava che riuscendo, in un certo senso,
a convincere gli Italiani che i suoi ideali erano gli stessi di cui si era
fatto portavoce Dante, avrebbe voluto
dire dare maggiore appoggio alla sua battaglia per la creazione della nazione.[7]
Il pensiero mazziniano si
inserisce in un contesto di scontro tra classicisti e romantici, ma le sue
riflessioni non si circoscrivono all’ambito letterario, anzi acquistano maggior
valore e vigore nell’evolversi del pensiero politico del genovese. In
particolare, anche Mazzini come Foscolo, associa le proprie esperienze
personali a quelle di Dante soprattutto per quanto riguarda l’esilio, non
mancando di sottolineare e raccomandare che l’opera di Dante non può trovare
piena comprensione senza la conoscenza della sua vicenda biografica[8]. Mazzini incornicia Dante nell’immagine ideale di un
eroe-poeta, portatore di un’istanza di rinnovamento e viene pertanto assunto a
simbolo di rinascita nazionale. Egli esprime vigorosamente il suo pensiero in
un articolo intitolato Dell’amor patrio di Dante, scritto inizialmente per l’
“Antologia” ma poi pubblicato dal Tommaseo su Subalpino. In questo articolo Mazzini
afferma pienamente le sue idee, sottolineando come il senso di patria, di
nazione e l’amore per questa fossero ben radicati in Dante e come egli, pur
essendo vissuto cinque secoli prima, esprimesse dei concetti e dei giudizi che
ben si adattavano anche alla situazione attuale italiana. Ciò su cui si
sofferma lo scrittore genovese è il periodo storico in cui visse Dante,
affermando che la grandiosità del pensiero del fiorentino non può essere
compresa indipendente dal contesto storico in cui egli scriveva. L’articolo si
conclude con un’esortazione agli Italiani a leggere e studiare Dante e a
prenderlo come modello nella ricerca di una soluzione per la condizione
presente. Il pregio degli studi danteschi di Mazzini è nella loro funzione di
stimolo alla conoscenza di Dante. Il culto ottocentesco di Dante appariva a Mazzini
come affetto da un’ansia di rinnovamento del popolo italiano.
Il Foscolo si interessò allo
studio sistematico e all’interpretazione di Dante negli anni dell’esilio
inglese, durante i quali egli associa la sua esperienza a quella del
Fiorentino, ma il nome di Dante compare già nelle sue prime opere di poesia e
di critica, testimonianza di un culto che gli derivava dall’Alfieri e dal Vico.
L’esordio del lavoro critico è
rappresentato dai due articoli pubblicati sulla «Edinburgh Review» nel 1818.
l’intuizione centrale è che Dante vada spiegato alla luce della cultura, delle
passioni, delle vicende dei suoi tempi; il punto di partenza è la constatazione
che, per quanto l’analisi e lo studio secolari si siano occupati della Commedia, essa per la maggior parte
avvolta nell’oscurità.
Il primo articolo è quasi
interamente dedicato alla storia delle edizioni e dei commenti del poema,
mentre nel secondo il Foscolo traccia un quadro storico dell’Italia, dai tempi
di Gregorio vii a quelli di Dante.
È un’età a metà tra la civiltà e la barbarie, di cui
Nel Discorso
sul testo del poema di Dante (Londra 1825) non solo si approfondiscono le precedenti intuizioni, ma
compare un pensiero nuovo e originale, cioè che
Ma Foscolo fu anche e soprattutto uno dei
maggiori sostenitori del Dante politico. Dante fu per Foscolo modello e
ispirazione, fino a considerare
In Vincenzo Gioberti l’interesse
per Dante fu vivo e continuo nella sua attività di filosofo e ideologo. L’opera
del Fiorentino appariva a Gioberti come il frutto più alto della fantasia
umana, come la sola a poter essere paragonata alla Bibbia.
Il significato del dantismo
giobertiano non è nei risultati raggiungi, bensì nella nuova passione politica
e morale che lo anima, in quello spirito risorgimentale come forza di
penetrazione storica[11].
Le
prime riflessione di Vincenzo Gioberti su Dante risalgono alle Chiose giovanili postillate, tra il 1821
e il
Le
Chiose ben si inseriscono nel
dibattito dantesco dei primi anni dell’Ottocento. Fin dalle prime battute si
rileva il giudizio giobertiano a sostegno dell’ortodossia cattolica di Dante.
L’ammirazione
del giovane Gioberti per Dante superò persino quella che aveva per Alfieri, il
suo poeta prediletto, a cui riconobbe però il merito di aver instaurato in
Italia “il culto di Dante”, per una
letteratura che potesse alimentare negli italiani il desiderio di una patria
indipendente[12].
L’interpretazione di Gioberti ha
grande risonanza nel pensiero ottocentesco soprattutto per i motivi religiosi
da cui è animata e che le consentono di essere utilizzata dalla corrente
cattolica per confutare le proposte interpretative foscoliane.
Il Filone critico-letterario
Dal punto di vista letterario,
nell’Ottocento Dante viene preso a modello per nuovi componimenti, ma allo
stesso tempo, diventa oggetto di nuovi studi e tentativi di commento.
Infatti, in questo periodo grazie all’affermazione delle nuove scienze, la
formulazione di un commento puntuale, rispondente a criteri unitari, diviene
primaria. Chi si appresta a confezionare un commento del poema dantesco ha ben
chiari due punti fondamentali: la rivendicazione della perfetta conformità di
Dante con i canoni della grande letteratura di tutti i tempi e la sua
affermazione come archetipo del poeta
della Patria. I nuovi commentatori sono ben consapevoli della difficoltà della
comprensione del testo e per questo la loro principale “missione” sarà quella
di una spiegazione chiara del testo anche dal punto di vista linguistico[13].
L’esilio
fu l’occasione per gli studi danteschi di Gabriele Rossetti, che per analogia,
amava ricondurre le proprie vicende biografiche a quelle del poeta. Infatti ai
primi tempi dell’esilio possono datarsi i suoi interessi per Dante che si
concretizzarono nel Comento analitico
dell’Inferno. Le sue interpretazioni
esegetiche suscitarono polemiche vivaci tra i letterati, e l’ambizioso disegno
di un Comento analitico all’intero
poema naufragò. Il valore preminente degli studi rossettiani sta proprio nella
ricerca del simbolismo come simbolo di un’intera civiltà, quella medievale, in
cui linguaggio, cultura, pensiero si rifugiano nell’allegoria come
interpretazione di un mondo interiore.[14]
Egli
proclamava l’esigenza di un’esegesi incentrata sull’allegoria, in quanto essa
costituirebbe l’unico modo per espugnare il sistema dantesco, attribuendole un
valore tale che figure, parole, lingua, struttura assumevano un significato criptografico
con un conseguente linguaggio gergale, comprensibile a pochi..
La
polivalenza verbale l’induceva a rinvenire reconditi significati non solo nella
Commedia ma in tutta la poesia del
Due-Trecento. Nei suoi ragionamenti, Rossetti mirava a creare un parallelismo
tra la realtà politica del suo tempo giungendo a ritrovare se stesso in Dante e
a proiettare le lotte delle fazioni trecentesche nelle vicende risorgimentali. Lo
studio del sistema allegorico dantesco permette all’autore di affrontare il tema
della Commedia che maggiormente lo
interessava: la libertà politica della sua patria.
Secondo
Rossetti
Nel
Comento emerge chiaramente l’intento
del Rossetti di proiettare le vicende storiche dell’età di Dante nel panorama
politico risorgimentale rilevando una netta analogia tra le due epoche tanto da
sentirsi una sorta di prescelto e di prosecutore della battaglia a favore
dell’indipendenza e dell’unità della patria. L’unico errore commesso dal
Rossetti è stato quello di aver voluto trasporre la propria vicenda personale
in quella dantesca per giustificare le proprie aspirazioni politiche.[16]
Per
Francesco De Sanctis, invece, il punto di partenza per la sua critica dantesca
è la concezione storiografica del Romanticismo, che annoverava, finalmente,
Dante tra i massimi poeti. Il motivo principale che fa di Dante un soggetto
fondamentale della critica desanctisiana era l’incontro, all’interno della
Commedia, del mondo intellettuale chiaramente e consapevolmente delineato con
una realtà storica multiforme popolata da diversi personaggi, ricca di
passionalità.[17]
L’opera
di Francesco De Sanctis costituisce il punto di confluenza delle diverse
correnti di pensiero e di studio ottocentesche intorno a Dante. L’analisi
desanctisiana si definisce intorno alla composizione del dissidio tra elemento
poetico ed elemento dottrinario-allegorico.
La riflessione desanctisiana prende avvio
nell’Italia post-quarantottesca, quando una nuova situazione si andava ormai
creando. In queste nuove circostanze
Quando
fu pubblicato il primo commento alla Commedia
di Niccolò Tommaseo, il «mito» di Dante era in pieno vigore. Ma la piena
comprensione del testo e dei suoi significati erano ancora lontani da criteri
scientifici, alla luce anche del fatto che ci si era concentrati su un’
“attualizzazione” di Dante e del suo poema, dando maggior spazio alla saggistica
più che al commento. Si poneva quindi il problema di un recupero da un punto di
vista critico dell’opera che allo stesso tempo non contrastasse con gli ideali
ideologico-politici dell’epoca.
In
questo contesto, il commento Tommaseano rappresenta un decisivo salto in avanti
soprattutto per quanto riguarda gli aspetti linguistici e letterari, culturali
e del valore assunto dalla Commedia
in questo preciso momento storico.
La
sua «idea» di Dante, Tommaseo la costruisce lungo un lavoro durato oltre trent’anni,
iniziato durante gli anni di maggiore aspirazione all’indipendenza e all’unità
nazionale, e terminato a ridosso della costituzione di uno Stato nazionale che
non equivale alla risoluzione di una serie di problemi politici, sociali,
culturali. Il principale obiettivo di Tommaseo è quello di approdare a una
piena comprensione della lingua di Dante; inoltre concepì una personale
ricostruzione del testo, finalizzata principalmente alla lettura ad alta voce,
a tal fine fu ripensata una nuova punteggiatura[19].
Il Filone
Statuario-monumentale
Simbolo di questa tipologia di culto è il
Trentino, dove il culto e la memoria di Dante furono vivi anche nei secoli poco
propizi alla fortuna del poeta. Qui il culto nacque già nel ‘700, infatti nel
1750 fu istituita l’Accademia degli Agiati che diede agli studi danteschi nuova
vita e nuovo vigore.
Col risorgere del culto di Dante in tutta
Italia alla metà dell’Ottocento, anche in Trentino si avviano nuove attività.
Considerando le vicende risorgimentali del Trentino, notiamo che più vivo si fa
il sentimento nazionale più cresce il culto verso Dante, simbolo
dell’italianità.
Dopo le vicende del 1848, si fa sempre più
avanti l’idea di erigere un monumento al poeta fiorentino. L’occasione per la
realizzazione di un simile progetto si prospettò nel 1850, quando un incendio
distrusse il palazzo cinquecentesco dei Baroni. Il progetto di ricostruzione di
tale edificio prevedeva un rinnovamento e un allargamento, inserendo
all’interno anche un monumento per il poeta. Purtroppo l’iniziativa non ebbe
seguito, anche per gli impedimenti da parte austriaca.
Per assistere alla posa della prima pietra
bisognerà attendere il 1893, momento significativo della manifestazione del
sentimento di un popolo che vedeva in questo monumento il suo Altare della
Patria.
L’11 ottobre 1896 veniva inaugurato il
Monumento a Dante in Trento e questa sarebbe stata una delle date più
importanti nella storia del patriottismo italiano del Trentino. Da questo
momento l’11 ottobre sarebbe stato dichiarato giorno di festa per tutto il
popolo di Trento.
Il monumento nella sua interezza è alto quasi
In cima al monumento Dante è rappresentato
mentre cammina. Con la mano sinistra regge un libro (presumibilmente
Sul monumento e attorno a esso sono state
incise numerose iscrizioni: sotto i piedi di Minosse si trovano le date di
nascita e di morte di Dante in numeri romani; alla base del monumento è incisa
un’epigrafe dettata da Guglielmo Ranzi[20]; un'epigrafe riporta la
data dell'11 ottobre 1896, giorno dell'inaugurazione del Monumento[21]; un'ulteriore epigrafe è
stata apposta nel 1919, dopo l'annessione del Trentino-Alto Adige all'Italia[22].
[1]
F. Mazzoni, Il culto di Dante e
[2] E. Malato, Il mito di Dante dal Tre al Novecento, in Studi su Dante, Cittadella, Bertoncello Artigrafiche, 2005, pp. 658-692
[3] Id.
[4] F.
Flamini,
La varia fortuna di Dante in Italia, Firenze,
G. C. Sansoni, 1914.
[5] G. Mazzoni, Il poeta della libertà, in Almae
luces malae cruces: studi
danteschi, Bologna, Zanichelli, 1941, pp. 23-39.
[6] G. Crupi, “Luces” e “cruces” del metodo critico: Guido Mazzoni dantista,
Roma, Bulzoni, 2009.
[7]
E. Bertana, Dante e Mazzini, in «Giornale dantesco» XXIV, n° 1-4, Firenze,
Società Arti Grafiche, 1921, pp. 73-84.
[8] Id.
[9] Mario Scotti, Ugo Foscolo, in Enciclopedia
Dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1984 vol. II.
[10] Di Giannatale, cit. n. 7.
[11] Mario Scotti, Vincenzo Gioberti, in Enciclopedia
Dantesca, vol. III.
[12] Id.
[13] V. Marucci, I commenti moderni della Divina Commedia, in «Per correr miglior acque…». Bilanci e prospettive degli studi
danteschi alle soglie del nuovo millennio. Atti del convegno di
Verona-Roma, 25.29 settembre 1999, Roma, Salerno Editrice, 2001, pp. 641-669.
[14] P. di Giannantonio, Studi danteschi di Gabriele
Rossetti, in «Alighieri», iv,
1963, i, pp. 43-49.
[15] Id.
[16] P. Di Giannatale, cit. n. 7.
[17] M. Fubini, Francesco De Sanctis, in Enciclopedia
Dantesca, vol. II.
[18] Martinelli, cit. n.4.
[19] N. Tommaseo, Commento alla Commedia, a cura di Valerio Marucci, Roma, Salerno
Editrice, 2004.
[20]
Inchiniamoci Italiani / Inchinatevi Stranieri / Deh! Rialziamoci / Affratellati
nella giustizia / Sei degli otto lati del piedistallo compongono queste parole:
/ A Dante / Al padre il / Trentino / Col plauso / E l'aiuto della / Nazione
[21] Affermazione
e simbolo / Del pensiero italiano / Questo monumento / Dalle genti Tridentine
eretto / All'altissimo poeta / Veniva oggi affidato alla custodia / Del
municipio di Trento / XI OTTOBRE MDCCCXCVI
[22] Le
parole di consacrazione / Al poeta nazionale / Cancellate dall'Austriaco / La
società nazionale / Dante Alighieri / Nuovamente incise / Celebrando /la
vittoria d'Italia / MCMXIX
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