Tradizioni e curiosità sul Natale
TRADIZIONI E CURIOSITÀ
SUL NATALE
Il Natale è sempre più
vicino e vorrei proporvi alcune curiosità e tradizioni per questa festa tanto
attesa.
L'Albero di
Natale. L’usanza di adornare un abete era già diffusa presso gli antichi
chi popoli germanici. L'abete sempreverde era considerato simbolo di vita e di
nascita e in occasione della festa del solstizio d'inverno veniva ornato di
ghirlande per celebrare il ritorno del sole e la rinascita della natura. Con
l'avvento del Cristianesimo questa usanza è diventata il simbolo del Natale.
Intorno all'origine
dell'albero di Natale sono nate molte leggende. Una di queste racconta che in
una fredda notte di Natale un povero boscaiolo stava ritornando a casa.
All'improvviso si fermò, incantato da uno spettacolo meraviglioso: tantissime
stelle brillavano attraverso i rami di un abete carico di neve. Per spiegare
alla moglie quello che aveva visto, il boscaiolo tagliò un piccolo abete, lo
portò a casa e lo ornò di candeline e di festoni per riprodurre le stelle e la
neve.
Il vischio, il
biancospino, l'agrifoglio e il pungitopo, il ginepro, sono piante scelte con la
funzione di addobbare e decorare l'albero di Natale. Scopriamo il significato
tradizionale di queste piante usate come decorazioni natalizie.
Il vischio è una delle decorazioni
natalizie più ricercate, perché è anche la più rara. Dal momento che non
affonda le sue radici nella terra, ma vive in modo aereo (in realtà è una
pianta parassita, che vive cioè a scapito di un'altra pianta), gli antichi le
attribuirono virtù curative. Tali virtù le furono attribuite proprio per il
fatto che si riteneva si nutrisse di aria pura.
L'agrifoglio e il pungitopo
sono ritenuti dalla tradizione cristiana come piante resistenti al male grazie
alle loro foglie dure e spinose. Le loro bacche sono così divenute il simbolo
del Natale.
Il ginepro, secondo la tradizione, avrebbe
protetto Maria mentre era in fuga dai soldati di re Erode e sarebbe anche la
pianta il cui legno venne usato per fabbricare la croce di Gesù. Nell'antichità
si riteneva che le sue bacche avessero il potere di risparmiare gli uomini dai
morsi dei serpenti. Essendo poi il serpente simbolo del demonio, al ginepro
venne attribuito anche il potere di tenere lontano dall'uomo il male e il
peccato.
Il biancospino germoglia nei giorni di
Natale e fiorisce a Pasqua. Segna quindi con il suo ciclo vitale le tappe più
importanti dell'anno liturgico cristiano. Si tramanda che il primo biancospino
nacque a Glastonbury, in Inghilterra, dal bastone di san Giuseppe d'Arimatea.
Il presepe. A realizzare il
primo presepe fu San Francesco.
Secondo la tradizione,
nel 1223 San Francesco, che si trovava allora a Greccio in prossimità del
Natale pensò di risvegliare la fede della popolazione locale allestendo una viva
rappresentazione della Natività. L’intento di San Francesco era quello di
mostrare nuovamente agli abitanti la scena della Natività, per riuscire a
rinnovare il sentimento del Natale nei loro spiriti, dal suo punto di vista
poco coinvolti. Per far ciò, San Francesco si recò da un suo amico – Giovanni
Vellita – un uomo dall’anima pia che era proprietario di una serie di campi
appena all’esterno del paese, e gli spiegò il suo progetto. L’amico acconsentì,
prestando anche un bue e un asino e coinvolgendo pastori e contadini del posto.
San Francesco costruì
dunque una capanna, sistemò nel mezzo una mangiatoia e introdusse all’interno
il bue e l’asino. La messa di mezzanotte fu celebrata proprio lì nel bosco
anziché in chiesa, con gente che accorreva da tutte le parti e si inginocchiava
davanti alla capanna. Sulla paglia venne posizionato un Bambin Gesù di cera.
Quando, a mezzanotte, una lunga processione giunse in quel posto, nella
mangiatoia si accese un tenue bagliore, e tutti videro con commozione l’immagine
splendente del Bambin Gesù, animatasi per miracolo.
In seguito, a partire
dalla Campania, l’usanza del presepe si diffuse in tutte le regioni d’Italia,
così come quella di allestirlo in casa con statuine di gesso, terracotta o
legno intagliato.
Secondo il Vangelo di
Luca, Giuseppe con Maria, sua sposa, si recò a Betlemme per rispondere al
censimento indetto da Augusto: “mentre si trovavano in quel luogo, si compirono
per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse
in fasce e lo depose in una mangiatoia perché non c’era posto per loro nella
locanda…”. Questa è l’unica sommaria descrizione ufficiale del luogo in cui
nacque Gesù.
I Vangeli apocrifi,
ovvero i Vangeli non ritenuti autentici, sono invece più ricchi di descrizioni.
Nel cosiddetto “Vangelo dello Pseudo Matteo” si narra che un angelo apparve
agli sposi: “fece fermare la giumenta, poiché era giunto il momento di
partorire, e ordinò a Maria di scendere dall’animale e di entrare in una grotta
sotterranea dove non vi era mai stata luce, ma solo tenebre perché non riceveva
affatto la luce del giorno. Ma all’ingresso di Maria tutta la grotta cominciò
ad avere splendore e rifulgere di luce quasi vi fosse il sole…”.
Anche se i Vangeli
apocrifi non sono considerati parte delle Sacre Scritture, essi non contrastano
con la narrazione di Luca in cui si accenna ad una mangiatoia, dal momento che
quest’ultima poteva essere ricavata in un incavo della roccia all’interno di
una grotta. La grotta, nel
simbolismo pre-cristiano cui si ispiravano anche gli autori dei vangeli
apocrifi, era il simbolo del cosmo e anche il luogo di nascita di molti dei.
Dioniso, per esempio, nasce in un antro e la sua nascita è avvolta di luce;
anche Hermes nasce in una grotta, sul monte Cilene, mentre Zeus in un antro sul
monte Diktos. Per questi motivi le grotte erano considerate dei luoghi di culto
e di iniziazione.
Come narra Luca, poco
dopo la nascita del bambino giunsero dei pastori avvertiti dall’angelo.
Anche i pastori hanno un significato simbolico.
La loro funzione è un esercizio costante di vigilanza, rappresentano il simbolo
della veglia. Il pastore, essendo un nomade, rappresenta l’anima che nel mondo
è passeggera e raffigura perciò l’anima saggia i cui atti sono ispirati dalla
visione interiore e dalla contemplazione.
Anche il bue e l’asino non appaiono nei Vangeli ufficiali, ma solo nel Vangelo dello
Pseudo Matteo. Tuttavia, nella letteratura cristiana i due animali hanno
suscitato un forte simbolismo. Ad esempio, per San Girolamo l’asino
rappresentava l’Antico Testamento e il bue il Nuovo. Oppure uno le forze
benefiche e l’altro quelle malefiche. Ma quelle più importanti hanno visto nel
bue l’emblema di chi “lavora nel campo di Dio” trasmettendone la parola.
L’asino invece difficilmente può avere valenza negativa almeno nei Vangeli, dal
momento che la sua presenza accompagnerà Gesù lungo tutta la sua vita, come
durante la fuga in Egitto e l’entrata in Gerusalemme.
Non è un caso se,
secondo una leggenda medievale, per ricompensare l’asino dei suoi servigi,
Cristo gli fece crescere all’incrocio tra la schiena e le spalle due linee di
peli scuri a forma di croce, simbolo di chi Lo serve ed è in comunione con Lui.
Per completare la
scena simbolica della Natività, mancano però ancora i Re Magi e la misteriosa Stella. La loro narrazione è intrecciata in
un unico avvenimento.
“Una stella più
lucente delle altre attira l’attenzione dei Magi, abitanti dell’Estremo
Oriente. Essi erano uomini non ignari dell’arte di osservare le stelle e la
loro luminosità, per questo compresero l’importanza del segno. Nei loro cuori
di certo operava la divina ispirazione, e partirono. Ecco che la stella che
avevano visto sorgere li precedeva, finché giunse e si fermò sul luogo dove si
trovava il Bambino. Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia.
Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo
adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e offrirono in dono oro, incenso e
mirra…”.
I Re Magi sarebbero
stati Melkon, che regnava sui Persiani, Balthasar, che regnava sugli Indiani e
Gaspar, che possedeva il paese degli Arabi.
L’episodio è narrato
sia nel Vangelo di Marco che negli apocrifi nonché in leggende orientali sui
Magi. Secondo una di queste leggende, anche i doni presentano un loro
simbolismo: “…portarono con loro tre offerte per poter riconoscere se quel
profeta era Dio o Re o Sapiente. Pensavano: se prende oro è un re, se prende
incenso è un Dio, se prende mirra è un sapiente. Lo adorarono e il Bambino
prese tutte e tre le offerte…”.
Babbo Natale. Il personaggio
di Babbo Natale, la più diffusa icona laica del Natale ad ogni latitudine del
pianeta, deriva dalla figura storica e realmente esistita di San Nicola di Bari.
La storia del
paffutello Babbo Natale, comincia con la vita e le opere di San Nicola di Bari,
nato intorno al 270 d.C. e vissuto probabilmente per una settantina d’anni. In
particolare, due episodi legati alla vita di questo Santo hanno contribuito in
maniera fondamentale ai primi fondamenti della leggenda.
San Nicola, vescovo di
Myra (una provincia turca), sembra che esortasse i parroci della sua diocesi a
evangelizzare il popolo che non poteva recarsi in chiesa a causa del lungo
freddo invernale, ed a farlo a cominciare dai bambini. Per far sì che questi
ultimi ascoltassero le parole dei sacerdoti, li spronava anche a portar loro
dei doni. La regione di Myra era particolarmente fredda, per cui i sacerdoti
arrivavano nei piccoli villaggi innevati tramite slitte trainate da cani, con
sacchi carichi di doni.
Un secondo episodio
che secondo la tradizione vide protagonista San Nicola, fu il dono fatto ad una
famiglia di un uomo ridotto in povertà che voleva avviare le sue tre figlie
alla prostituzione per far fronte alle necessità. Per scongiurare questa
sciagurata ipotesi, San Nicola avvolse del denaro in tre panni e, un pacco per
notte, li gettò nella casa del povero fornendo così una dote alle figlie in età
di matrimonio.
Questi due episodi
hanno rappresentato il vero seme della leggenda di Babbo Natale. Il vecchio dalla
barba bianca, infatti, è solito girare per il mondo portando doni a tutti i
bambini attraverso una slitta trainata da renne volanti, nonché portare i doni
gettandoli dai camini delle case. Questa figura standardizzata di Babbo Natale
è in tutta evidenza una trasposizione in ottica leggendaria di quanto
presumibilmente fatto in vita da San Nicola.
San Nicola fu
canonizzato come Santo nel VI secolo e a partire dal 1200 festeggiato il 6
dicembre. Perchè invece i doni di Babbo Natale arrivano il 25 dicembre? Il
“nuovo nome” e la notte prescelta per i doni si sono anch’essi evoluti con il
passare dei secoli. In Olanda, nacque una festa dedicata a San Nicola, che
prende il nome di “Sinterklass”.
Questo nome, divulgato
nella cultura inglese e più tardi americana, fu traslato in Santa Claus, nome
con cui è riconosciuta universalmente la figura di Babbo Natale.
Gli abiti con cui è
raffigurato Sinterklass sono ancora assimilabili a quelli di un vescovo, con
copricapo e pastorale. Vi è tuttavia la presenza della lunga barba bianca e la
particolare caratteristica del volo (su un cavallo bianco) per portare doni.
A separare
definitivamente le due figure di San Nicola e di Babbo natale hanno contribuito
due episodi risalenti all’Ottocento.
Il primo vede Clement
Clarke Moore, scrittore newyorkese, pubblicare un celebre poemetto dal titolo
“A visit from Saint Nicholas” anche più conosciuto come “The night before
Christmas”. Questo poemetto vede la raffigurazione di San Nicola
come un vecchio dalla lunga barba bianca con naso e guance paonazze a portare i
doni nella notte tra il 24 e il 25 dicembre. Inoltre, porta dei vestiti rossi
con bordi di pelliccia bianca, i doni vengono portati scendendo dal camino e il
trasporto da una casa all’altra avviene tramite slitta trainata da renne, tanto
che a ciascuna viene dato un nome. Il poemetto ebbe enorme successo e seguirono
nel corso dell’Ottocento molte illustrazioni ad esso legate.
La più importante (ed
è questo il secondo episodio) è quella realizzata da Thomas Nast nel 1862 e
pubblicata sull’ Harper’s Weekly: Santa Claus è raffigurato come un elfo
abbondantemente appesantito e rotondeggiante. In più, al vestito rosso orlato
di pelliccia bianca si aggiungono gli stivali.
La figura di Santa
Claus (che diventa “Babbo Natale” in Italia) è ormai completa e del tutto
indipendente da San Nicola.

Canto di Natale. Uno dei tradizionali testi di Natale è "Canto di Natale" di Charles Dickens, scritto nel 1843 e rappresenta una delle sue opere più popolari. Questo racconto è una critica da parte di Dickens alla società, unendo il gusto tipicamente gotico con l'impegno alla lotta alla povertà e allo sfruttamento minorile.
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