Il mito di Scilla e Cariddi
SCILLA
E CARIDDI
Nella moltitudine di racconti leggendari
che appartengono alla mitologia, numerosi sono quelli incentrati sull'ambiente
marino, che spesso esprimono la paura dell'imprevedibile o rappresentano
situazioni di pericolo, reale o presunto, per il navigante.
L'attraversamento di uno Stretto, con le
sue oggettive difficoltà, assumeva il valore simbolico di superamento dei
confini tra il familiare e l'ignoto, di controllo delle forze avverse e del
caos, rappresentati dalle forze della natura.
Quelle aree pericolose, al limite
dell'invalicabile, erano solitamente identificate con i mostri posti a guardia
del passaggio, che insidiavano chi avesse voluto superarlo.
Sullo scoglio situato nello Stretto di
Messina viveva una creatura mostruosa, chiamata Cariddi. Era la figlia della
Terra e di Poseidone e, durante la sua vita di donna, aveva mostrato grande
voracità. Quando Eracle attraversò lo Stretto con le mandrie di Gerione,
Cariddi divorò gli animali.
Zeus la punì colpendola con uno dei suoi
fulmini e la fece precipitare in mare, trasformandola in mostro: tre volte al
giorno Cariddi ingurgitava masse d'acqua con tutto ciò che in essa si trovava,
e così inghiottiva le navi che si avventuravano nei suoi paraggi, poi vomitando
l'acqua assorbita.
Quando Ulisse transitò la prima volta per
lo Stretto, sfuggì al mostro ma, dopo il naufragio provocato dal sacrilegio
contro i buoi del Sole, fu aspirato dalla corrente di Cariddi. Ebbe tuttavia la
furbizia di aggrapparsi a un albero di fico, che cresceva rigoglioso
all'entrata della grotta in cui si nascondeva il mostro, cosicché, quando ella
vomitò l'albero, Ulisse poté mettersi in salvo e riprendere la navigazione.
A un tiro d'arco da Cariddi, sull'opposta
sponda dello Stretto, un altro mostro attendeva al varco i naviganti. Era
Scilla, nascosta nell'antro profondo e tenebroso, che si apriva nella roccia
liscia e levigata, inaccessibile ai mortali.
A questo nome si ricollegano due distinte
leggende. Secondo la prima, Scilla è una figura femminile, figlia di divinità
diverse a seconda delle differenti versioni, circondata da sei cani feroci, che
divorano tutto ciò che transita nei paraggi. Anche la storia di come Scilla sia
diventata un mostro cambia nelle diverse tradizioni.
Nell'Odissea Omero racconta come Glauco,
innamorato di Scilla, rifiutasse l'amore della maga Circe. Costei, per
vendicarsi della rivale, mescolò erbe malefiche all'acqua della fonte nella
quale Scilla si bagnava. Il corpo della giovane fu trasformato, cosicché dal
suo bacino spuntavano i cani mostruosi.
Secondo altre versioni, Circe aveva
trasformato la giovane su istigazione di Anfitrite, innamorata di Poseidone,
che le aveva preferito Scilla. Oppure che Scilla era stata punita da Poseidone,
per essersi innamorata di Glauco.
Ancora una versione diversa attribuisce
la morte della giovane allo stesso Eracle: quando questi transitò nella zona
con i buoi di Gerione, Scilla ne mangiò alcuni; ne seguì un combattimento e
Scilla fu uccisa.
Secondo la seconda leggenda, Scilla era
figlia di Niso, re di Megara. Questi restava invincibile fintanto che avesse
conservato in testa un capello d'oro (o di porpora). Quando la Città fu
assediata da Minosse, che voleva vendicare l'uccisione di Androgeo, Scilla
s'innamorò di lui e, per farlo vincere, tagliò il capello del padre, dopo
essersi fatta promettere da Minosse che l'avrebbe sposata, se ella avesse
tradito la propria città per amor suo.
Minosse infatti sconfisse Niso ma poi,
scoperto con quale crimine Scilla lo aveva aiutato, inorridito la legò alla
prua della sua nave e la fece annegare. Gli dei si impietosirono e la
trasformarono in airone.
Scilla (gr. Σκύλλα) Nella mitologia greca, mostro marino, localizzato nello Stretto
di Messina sulla costa davanti allo rupe dove stava Cariddi.
Secondo il mito, S., bellissima figlia di Trieno o di Forco, il dio
marino, e di una dea, Crateide, oppure di Forbante e di Ecate,
fu trasformata da Circe, gelosa di Glauco che ne era innamorato, o da Anfitrite
gelosa di Posidone, in un mostro orribile dalla testa e il corpo di donna
che terminava in un’appendice pisciforme da cui sporgevano teste di cani
voraci. Questi al passaggio della nave di Ulisse divorarono sei compagni
dell’eroe. L’uccisione di S. era attribuita a Eracle, che lottò con lei
perché gli aveva fagocitato alcuni buoi di Gerione. In seguito Forco con
la magia avrebbe reso la vita alla figlia.
Talvolta i mitografi confondevano questa
S. con un altro personaggio dello stesso nome: la figlia di Niso, re di Megara,
che per amore del cretese Minosse, venuto ad assediare la sua città, non esitò
a strappare al padre il capello fatale (d’oro o di porpora) che gli assicurava
la vita. Minosse, inorridito per tale malvagità, fuggì per mare, S. lo inseguì
e fu allora trasformata nell’uccello marino ciris.
Cariddi
Enciclopedia Dantesca (1970)
di Adolfo Cecilia
Cariddi. - Vortice
localizzato di fronte a Scilla, nello stretto di Messina, conosciuto e temuto
dagli antichi naviganti che vi costruirono sopra il mito di mostri che in antri
abissali attendono navi e naviganti. D. si serve dell'immagine di C. per
descrivere l'eterno scontrarsi degli avari e dei prodighi, in If VII 22 Come fa
l'onda là sovra Cariddi, / che si frange con quella in cui s'intoppa, così
convien che qui la gente riddi.
Così Salimbene descrive C. (Cronica, Bari
1966, 511): " Nota quod Farúm, in Sicilia, iuxta Messanam civitatem, est
quoddam brachium maris ubi aliquando est magnus discursus, et magni gurgites
fiunt ibi, qui naves absorbent et demergunt, iuxta illud Ps.: Veni in
altitudine maris, et tempestas demersit me. Item in illo Pharo sunt Syrtes et
Caribdes et scopuli praegrandes et multa infortunia ", offrendocene una
visione dalla costa siciliana che egli ha derivato da racconti di monaci di
Messina.
Curiosa la descrizione che di C. ci offre
il Lana, nel commento ai versi danteschi: " Cariddi è uno mare el quale è
in septentrione, et è molto percosso da la buora e fallo molto ondezare ".
Si può senz'altro escludere che D. abbia
visto con i propri occhi lo stretto di Messina; al Bassermann sembra " che
lo stretto di Messina sia stato da Dante conosciuto per diretta visione ";
ma è fragilissima ipotesi.
Bibliografia: Bassermann, Orme
278; Revelli, Italia 11.
CARIDDI
Enciclopedia Italiana (1931)
di Guido Libertini
CARIDDI (Χάρυβδις, Charibdys). - È il famoso vortice ricordato dall'Odissea
(XII, 103 segg.) e collocato di fronte a Scilla, sotto una rupe non alta
dominata da un caprifico. Anche nel mito degli Argonauti ricorre il nome del vortice
che Giasone e i suoi poterono scansare grazie all'aiuto di Tetide. Quando le
peregrinazioni di Odisseo furono localizzate in Occidente, forse in seguito
alle navigazioni dei Calcidesi in questi mari, anche Cariddi venne indicata
nello Stretto di Messina dove il vortice fu identificato con uno dei tanti
gorghi formati dall'incontrarsi delle correnti. L'etimologia non è chiara,
forse preellenica.
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