Il Nido
Tim Winton, Il nido, Fazi Editore, 2017, pp. 442, € 19,50.

In questo romanzo coraggioso e inquietante, Tim Winton si chiede se, in un mondo compromesso in maniera irreversibile, possiamo ancora sperare di fare la cosa giusta.
Scritto con una prosa trascinante che rivela punte di umorismo nero e spietato, Il nido è il toccante racconto dell’incontro tra due solitudini che trovano l’una nell’altra un barlume di speranza. Una storia di miseria e fallimenti, dipendenze e marginalità, sullo sfondo di un’Australia ricca di contrasti, in cui la bellezza struggente dei paesaggi fa a pugni con la periferia urbana, straniante e ostile, dell’estremo lembo del mondo.
Il nido è un libro complesso, intricato, incompiuto. Infatti il finale sembra quasi un non finale, ti lascia quella sensazione di incompiutezza che ti fa dire "ma io volevo sapere cosa sarebbe successo". Poi rifletti un attimo e capisci che la caratteristica de Il nido è proprio questa: il non-detto, qualcosa che puoi intuire ma non viene esplicitata.
Il libro affronta tanti e diversi temi. I principali sono quelli che riguardano il protagonista.
Tom Keeley, un avvocato ambientalista di successo che ha perso tutto, lavoro e moglie, lasciando che la sua vita si trascinasse senza essere capace di darle una direzione.
Dopo i suoi fallimenti, Tom si rifugia nel suo appartamento, il nido appunto, tagliando i ponti col mondo esterno, bombardandosi di alcool e farmaci per illudersi di riuscire ad affrontare il mondo esterno.
In realtà Tom sta solo scappando, dagli altri ma soprattutto da se stesso: guarda il mondo dall'alto del suo appartamento del decimo piano, incapace di reagire e di affrontare la vita.
Non è bello essere l'incarnazione di tutto ciò che tua madre compatisce, o forse addirittura disprezza.
[...] averla delusa gli bruciava più di ogni altra umiliazione. Il problema era che lei lo credeva forte e lo giudicava di conseguenza: non immaginava che fosse già perduto.
Nel libro, però, questa condizione non viene mai completamente esplicitata, tutto viene solo accennato o fatto intendere: i motivi e le conseguenze del suo licenziamento, la fine del suo matrimonio, il rapporto con la sua famiglia. Tutto ciò lascia al lettore sia un senso di smarrimento perché vorrebbe che lo scrittore gli raccontasse tutto per filo e per segno ma anche, allo stesso tempo, quella possibilità di immaginazione e di ricostruzione dei fatti che lo rende parte attiva del racconto.
Tutto viene trascinato e rimandato senza chiarezza: ogni volta che viene accennato a qualcosa ti aspetti che nelle pagine seguenti venga spiegato e raccontato nei particolari, invece continui a leggere e capisci che, magari, di quella cosa non se ne parlerà più. Ma d'altronde questa è la vita che sta vivendo Tom Keeley, un perenne rimandare qualsiasi cosa, anche la più semplice e banale come pulire la doccia del bagno.
La mia definizione di libro non compiuto si riferisce proprio a questo, a quella sensazione che qualcosa di più poteva essere detto, anche se non deve essere vista come una cosa negativa, anzi credo che questa sia proprio la chiave di lettura del libro: esso rappresenta in modo mirato la condizione di molte persone che spesso preferiscono lasciasi trascinare o travolgere dagli eventi anziché agire e affrontare le situazioni.
Il testo è costellato di battute pungenti e il racconto è scorrevole con un linguaggio che ben riesce a descrivere e a caratterizzare ciò che si sta raccontando.
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