Eleanor Oliphant sta benissimo

Gail Honeyman, Eleanor Oliphant sta benissimo, Garzanti, 2018, pp. 352, € 17,90.





Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: sto benissimo.
Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido. Ho quasi trent’anni e da nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate. Poi torno a casa e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient’altro. Perché da sola sto bene.
Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata di mia madre. Mi chiama dalla prigione. Dopo averla sentita, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto.
E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo.
O così credevo, fino a oggi.
Perché oggi è successa una cosa nuova. Qualcuno mi ha rivolto un gesto gentile. Il primo della mia vita. E all’improvviso, ho scoperto che il mondo segue delle regole che non conosco. Che gli altri non hanno le mie paure, non cercano a ogni istante di dimenticare il passato. Forse il «tutto» che credevo di avere è precisamente tutto ciò che mi manca. E forse è ora di imparare davvero a stare bene.
Anzi: benissimo.

Gail Honeyman ha scritto un capolavoro. Un libro che secondo la stampa internazionale più autorevole rimarrà negli annali della letteratura. Un romanzo che per i librai è unico e raro come solo le grandi opere possono essere. In corso di pubblicazione in 35 paesi, è il romanzo d’esordio più venduto di sempre in Inghilterra, dove è da più di un anno in vetta alle classifiche. Ha vinto il Costa First Novel Award e presto diventerà un film. Una protagonista in cui tutti possono riconoscersi. Una storia di resilienza, di forza, di dolore, di speranza. Un grande romanzo con una grande anima.



Eleanor Oliphant sta bene, anzi benissimo. O almeno è quello che lei crede.

A volte ho la sensazione di non trovarmi qui e di essere un frammento della mia immaginazione. Ci sono giorni in cui i miei legami con la terra mi sembrano così labili che i fili che mi tengono fissata al pianeta sono sottili come una ragnatela, come zucchero filato. Una violenta folata di vento potrebbe staccarmi del tutto, sollevandomi e facendomi volare via, come un seme di tarassaco.

Eleanor pensa di stare bene nel "suo" mondo, in quella corazza che si è costruita che le fa da barriera con il mondo esterno ma anche con il suo mondo interiore fatto di ricordi, sofferenza, dolore. Eleanor pensa che la sua safe zone possa tenerla al sicuro dagli altri e dal suo passato.

[...] io compio ricerche approfondite su ogni attività prima di intrapenderla [...]

La narrazione inizia con Eleanor che ci racconta un po' di sé e del suo lavoro. Parlerà delle sue abitudini, dei suoi comportamenti, soprattutto nei confronti degli altri e, di tanto in tanto, ci darà degli indizi su qualcosa di tragico che è successo nel suo passato.

Se di tanto in tanto una donna completamente sola parla a una pianta in un vaso, è pazza da legare? Sono sicura che sia perfettamente normale parlare da soli ogni tanto. Non è che mi aspetti una risposta. Sono consapevole del fatto che Polly è una pianta da appartamento.

Devo dire che il racconto di Eleanor a volte è alquanto esilarante e capace di strappare un sorriso, ma se ci si ferma a riflettere ci si rende conto dei danni che possa causare la solitudine e soprattutto la sofferenza. Anche se penso che, molto spesso, la solitudine sia una conseguenza della sofferenza: ci si rinchiude in se stessi pensando di poter allontanare tutto il male che c'è stato.

Sul mio cuore ci sono cicatrici altrettanto spesse e deturpanti di quelle che ho in viso. So che ci sono. Spero che resti un po' di tessuto integro, una chiazza attraverso la quale l'amore possa penetrare e defluire. Lo spero.

Ma in fondo Eleanor aveva conosciuto solo quella faccia della medaglia, pensava che nella vita non ci potesse essere nulla di positivo, almeno per lei.

Nessuno mi aveva mai mostrato il modo corretto di vivere la vita.

La memoria del suo passato la rendono fragile e insicura, incapace di vedere oltre la vita che stava vivendo.


Non c'era speranza, le cose non si potevano riparare. Io non potevo essere riparata. Al passato non si poteva sfuggire, né lo si poteva disfare. 

È vero che non possiamo far finta che il passato non esista, ma lo possiamo affrontare, capendo che noi siamo fatti anche del nostro passato e che ciò che ci ha fatto soffrire ci ha anche fortificati e che possiamo trasformare le nostre debolezze in punti di forza.
A Eleanor basterà poco per capirlo e, anche se arriverà a toccare il fondo, da lì potrà ripartire dando vita a una nuova Eleanor. E allora sì che a quel punto potrà dire: Eleanor Oliphant sta benissimo.


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