Cinque donne e un arancino


Catena Fiorello Galeano, Cinque donne e un arancino, Giunti, 2020, pp. 336, € 18,00. 



Ogni trasloco è una fine. O un inizio. Ma sempre e comunque un intreccio di emozioni. Lo sa bene Rosa, che dopo la morte del marito decide di lasciare Milano per tornare nella sua terra di origine, lo sperduto paesino siciliano di Monte Pepe. Qui si rende ben presto conto che le donne del luogo (perfino le più giovani!) sembrano rassegnate a un monotono tran-tran. Eppure ci deve essere un modo per ravvivare le giornate e risvegliare le ambizioni delle signore di Monte Pepe. Così, una mattina, si alza punzecchiata da un’idea: aprire una rosticceria che offra i migliori arancini della regione, in un ambiente ospitale che attiri turisti e buongustai. Forte del suo passato di cuoca, Rosa tenta di coinvolgere quattro amiche: Giuseppa, vedova con qualche anno in più, le gemelle Maria e Nunziatina, appassionate di cucina dell’antica tradizione, e la bellissima Sarina, giovane in cerca della sua vocazione. Ma fin da subito si scontreranno con una difficoltà insormontabile: il paese è troppo isolato fra le montagne e i clienti scarseggiano. In mezzo a questi guai, nuovi amori nascono, altri finiscono, e altri ancora stentano a farsi strada. E proprio quando le cinque amiche cominciano a darsi per vinte, il loro destino sarà stravolto dall’apparizione di una misteriosa donna che le trasporterà in un’incredibile avventura a New York. Già, perché la vita non è scritta soltanto dalle nostre intenzioni. Talvolta può accadere che il caso ci metta lo zampino, sorprendendoci con la sua generosità…



Con Cinque donne e un arancino non è stato un amore travolgente, ma piuttosto una passione flebile e temporanea, pur trovando i temi trattati interessanti e coinvolgenti. Mi è piaciuta molto la storia: la voglia di riscatto, la tenacia e la resilienza, la voglia di non farsi fermare dall'avversità degli eventi. E poi una storia di donne che hanno voglia di darsi una nuova possibilità, hanno voglia di crearselo da sole il proprio futuro, almeno per una volta e anche se non più giovanissime. Tutto questo mi è piaciuto e mi entusiasmava nella lettura. 
Ma allo stesso tempo ho trovato la scrittura un po' contraddittoria. Molti dei dialoghi delle protagoniste sono affidati al dialetto siciliano, per rendere al meglio i loro pensieri, la loro genuinità e la loro semplicità. Però mi sono chiesta se tutti i lettori e le lettrici siano veramente in grado di comprendere quelle parole che racchiudono il significato di frasi intere. E con questo non metto in discussione l'uso del dialetto che, in questa narrazione, credo diventi parte fondamentale del racconto. 
Una cosa che ho trovato abbastanza contraddittoria, secondo me, è il contrasto tra il dialetto dei dialoghi e la lingua usata per la narrazione e per il racconto dei pensieri delle protagoniste: se per i dialoghi viene usato il dialetto perché quando si raccontano i loro pensieri si fa ricorso a termini più difficili o addirittura stranieri? Mi sembra un'incongruenza, una forzatura ed essere poco in linea con quanto si racconta.
Questi sono più che altro miei dubbi, ma consiglio il libro per una carica di autostima e soprattutto lo trovo adatto a una lettura estiva. 
Sono diventata una lettrice esigente. Me ne rendo conto. Così come mi rendo conto che, per me, un libro deve riuscire a trasmettermi le emozioni che provano i protagonisti e farmi emozionare di conseguenza. Purtroppo non sempre succede. E quando non succede passo un sacco di tempo a rifletterci, a cercare di capire il perché, se sia stato sbagliato il mio approccio. Insomma sono io per prima a mettermi in discussione.






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