Il coraggio di cambiare


Non è mia abitudine scrivere di politica, soprattutto farlo qui, dove amo parlare di libri e cultura. Ma credo che quanto successo in America vada al di là della semplice questione politica: l'elezione del Presidente degli Stati Uniti non è solo un'occasione politica ma anche, e soprattutto, economica, sociale, culturale, civile.

L'America rappresenta per tutti noi il sogno, il Paese dove tutto diventa realizzabile, il Paese dove l'impossibile diventa possibile. In gran parte ce lo hanno mostrato e dimostrato i nostri avi o amici o conoscenti, partiti per gli Stati Uniti a cercare fortuna e dove quella fortuna l'hanno realmente trovata. Credo che queste persone debbano essere grate a un Paese che ha permesso loro di realizzare i loro sogni e di trovare, pur se in un posto sconosciuto, la loro casa. Di conseguenza, credo che questo valga per chiunque emigri in un altro Paese e lì trova il suo posto nel mondo. Allo stesso modo penso che nessuno, però, debba dimenticare le proprie origini e tutte le tappe che lo hanno portato dove si trova adesso. Nei giorni precedenti le elezioni ho sentito amici e parenti che vivono in America tifare per Trump, scagliarsi contro i Democratici. Nei giorni successivi li ho sentiti accusare, offendere, seguire la scia di arroganza e prepotenza del loro beniamino. Tutto questo mi ha fatto rabbia perché, in un certo senso, era come se queste persone stessero buttando fango anche su di loro e sulla loro storia. Trump non ha fatto mistero delle sue posizioni sull'immigrazione, sull'Europa e su tutto ciò che non fosse americano e sentire delle persone di origine italiana sostenere qualcuno che, in un certo qual modo, ha offeso anche l'Italia mi è sembrato ingiusto e poco onesto. 

Dopo questa lunga premessa, dico che il cambiamento, in America, era necessario, soprattutto nel momento storico che stiamo vivendo. 

No, Trump non mi è mai piaciuto e non si tratta solo di questioni politiche, si tratta di atteggiamenti, di comportamenti, di frasi dette e sbraitate, di discorsi basati sul nulla. L'America non è ciò che Trump ha rappresentato negli ultimi 4 anni. D'altronde lo ha dimostrato ancora una volta negli ultimi giorni. Perdere non piace a nessuno, diciamolo senza ipocrisie, ma bisogna metterlo in conto, senza continuare a fare capricci come un bambino a cui hanno tolto il pallone. Sì è così che ho visto Trump in questi anni: come un bambino con il suo giocattolo preferito. Questa è stata la mia impressione: come se Trump avesse voluto diventare Presidente degli USA come capriccio personale, come sfizio. Era già un uomo molto potente, molto ricco, molto influente, diventare l'uomo più potente del mondo era la ciliegina sulla torta di un pranzo luculliano per il suo ego smisurato che non ha fatto nulla per mitigare. Ho sempre avuto l'impressione che tutto ciò che faceva fosse espressione unica della sua persona, di quella voglia smisurata di dimostrare che lui fosse più forte e gli altri non fossero niente. Come ha ben dimostrato di fronte al Covid, non avendo nessun tipo di rispetto per i milioni di morti che questa pandemia ha portato.

Non so se Biden sia meglio o peggio, ma credo ci fosse bisogno di un cambiamento. E credo che ci sia stato. Kamala Harris è la prima vice presidente donna e penso che questo sia un segnale forte, incisivo, la dimostrazione che, se ci crediamo davvero, qualcosa può cambiare.

In questi giorni ho letto un po' le opinioni sui giornali americani. Sul "New York Times" ho letto un articolo che mi ha colpito molto che diceva che qualcosa può veramente cambiare solo se gli Americani hanno il coraggio di cambiare il loro voto. Non so se questo sia successo, ma un primo passo credo sia stato fatto.



Qui il video del discorso di Kamala Harris. 

"Sono la prima donna ad aver raggiunto questa posizione ma non sarò l'ultima". Un discorso di speranza e di fiducia nel futuro. 



Commenti