M. Il figlio del secolo

 Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, Bompiani, 2018, pp. 840, € 24,00.



Lui è come una bestia: sente il tempo che viene. Lo fiuta. E quel che fiuta è un'Italia sfinita, stanca della casta politica, della democrazia in agonia, dei moderati inetti e complici. Allora lui si mette a capo degli irregolari, dei delinquenti, degli incendiari e anche dei "puri", i più fessi e i più feroci. Lui, invece, in un rapporto di Pubblica Sicurezza del 1919 è descritto come "intelligente, di forte costituzione, benché sifilitico, sensuale, emotivo, audace, facile alle pronte simpatie e antipatie, ambiziosissimo, al fondo sentimentale". Lui è Benito Mussolini, ex leader socialista cacciato dal partito, agitatore politico indefesso, direttore di un piccolo giornale di opposizione. Sarebbe un personaggio da romanzo se non fosse l'uomo che più d'ogni altro ha marchiato a sangue il corpo dell'Italia. La saggistica ha dissezionato ogni aspetto della sua vita. Nessuno però aveva mai trattato la parabola di Mussolini e del fascismo come se si trattasse di un romanzo. Un romanzo - e questo è il punto cruciale - in cui d'inventato non c'è nulla. Non è inventato nulla del dramma di cui qui si compie il primo atto fatale, tra il 1919 e il 1925: nulla di ciò che Mussolini dice o pensa, nulla dei protagonisti - D'Annunzio, Margherita Sarfatti, un Matteotti stupefacente per il coraggio come per le ossessioni che lo divorano - né della pletora di squadristi, Arditi, socialisti, anarchici che sembrerebbero partoriti da uno sceneggiatore in stato di sovreccitazione creativa. Il risultato è un romanzo documentario impressionante non soltanto per la sterminata quantità di fonti a cui l'autore attinge, ma soprattutto per l'effetto che produce. Fatti dei quali credevamo di sapere tutto, una volta illuminati dal talento del romanziere, producono una storia che suona inaudita e un'opera senza precedenti nella letteratura italiana. Raccontando il fascismo come un romanzo, per la prima volta dall'interno e senza nessun filtro politico o ideologico, Scurati svela una realtà rimossa da decenni e di fatto rifonda il nostro antifascismo.


Buongiorno e buon anno amiche lettrici e amici lettori.

Iniziamo il nuovo anno con delle nuove e appassionanti letture e, soprattutto, con tanti buoni propositi e idee di nuove iniziative intorno al mondo dei libri.


Il primo libro dell'anno di cui voglio parlarvi è M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati, edito da Bompiani. L'ho letto in pochissimo tempo nonostante le 840 pagine. Al di là dell'aspetto che potrebbe dare l'impressione di un libro pesante e magari un po' lento nella lettura, il testo è scorrevole e si ha la voglia di continuare a leggere per capire a cosa può portare una mente umana avida di potere.

È un affresco, reale e documentato, della nascita e dell'ascesa del fascismo, dal 1919 alla fine del 1924 (questo è il primo volume), della figura di Benito Mussolini come uomo, giornalista, politico, uomo di potere, fondatore e capo del fascismo.


La politica è teatro. Tutti commedianti. Quel Mussolini è un bravo istrione.


È un romanzo storico, una sorta di documentario, con riferimenti precisi e documentabili. Una versione della Storia ufficiale, in un certo senso, rivista e corretta. Non perché dica cose diverse da quelle che conosciamo, ma perché le riporta in modo un po' diverso, a volte viste da angolature o punti di vista differenti, o perché arricchite da particolari magari poco conosciuti o semplicemente aggiungendo un giudizio troppo spesso omesso.

Il tono è duro, a tratti aggressivo, con un ritmo serrato e incalzante. È come se la Storia che abbiamo studiato e che conosciamo fosse raccontata dal di dentro, da uno spettatore presente mentre tutto stava avvenendo.

E in tale contesto non possono mancare pareri e giudizi su grandi personaggi del momento. Primo tra tutti il re Vittorio Emanuele III, che a rileggere oggi certe vicende viene da chiedersi come potesse ricoprire quel ruolo, se fosse cosciente della sua posizione e soprattutto di quanto gli stesse succedendo attorno. Viene delineato quasi come un inetto, un uomo che si lascia trascinare dagli eventi quasi senza parteciparvi, incapace di prendere posizioni e decisioni.


Il fatalismo quietistico del re dà il tono di fondo all'esistenza spettrale che contagia il suo popolo. [...] Il Paese è opaco, il suo sentimento della giustizia è fiacco, torbido.

Uno Stato degno di questo nome, di fronte al segretario di un partito con deputati in Parlamento che dichiari di aver costituito una milizia armata, li avrebbe fatti arrestare. Immediatamente.


E poi la posizione degli intellettuali, di quelli che contavano, di quelli che avevano un ruolo fondamentale nella creazione di un vero popolo italiano, primi tra tutti Benedetto Croce e Gabriele D'Annunzio. Personaggi fondamentali nella storia e nel pensiero del nostro Paese, rimangono, anche loro, intrappolati nell'opacità e nell'immobilità di un Paese incapace di ogni tipo di reazione.


Benedetto Croce dice che il fascismo non è un'infatuazione o un giochetto, il fascismo ha risposto a seri bisogni e fatto molto di buono. Non bisogna lasciar disperdere i cuoi benefici e tornare alla fiacca inconcludenza che lo ha preceduto. Il fascismo è giunto al potere tra gli applausi e il consenso della nazione [...]. Il cuore del fascismo [...] è l'amore della patria, è il sentimento della sua salvezza.


Gabriele D'Annunzio si è proclamato difensore e sostenitore della patria, dalla parte del popolo e, anche quando, il fascismo ha cercato di coinvolgerlo attivamente, ha saputo chiamarsi fuori, ma poi è bastato poco perché la sua posizione cambiasse...


[...] l'acquisto a peso d'oro da parte dello Stato dei manoscritti del poeta, come sempre in precarie condizioni economiche, prima una lunga serie di sovvenzioni, lo placa definitivamente.


È passato un secolo da quegli anni, da quel momento, eppure nulla sembra essere mutato, tutto sembra essere sempre cristallizzato e immutabile. La Storia dovrebbe portarci a imparare dai nostri errori ma, a quanto pare, non riusciamo a immunizzarci dai "corsi e ricorsi storici" di vichiana memoria.


La sola cosa che conta per i politici di carriera è di essere rieletti. Cascasse il mondo, non si schioderanno dalla loro poltrona per la bella faccia di nessuno.


Un libro che ripercorre il passato ma che parla al presente, che ci invita ad ascoltare le nostre coscienze, a non mettere da parte le nostre capacità di valutazione, a non lasciarci anestetizzare dai troppi messaggi che ci giungono dalle varie parti e posizioni. Soprattutto di non essere, ancora una volta, un popolo opaco, incapace di reagire.


Parlano di questo libro:

- Il Fatto Quotidiano

- Il Sole 24 Ore

- Il Libraio

- Il Post

- Vanity Fair

- Tutto Libri

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