Dantedì

                                 

           

Il Dantedì è una giornata dedicata a Dante Alighieri e alla sua opera, con celebrazioni in tutta Italia, inoltre quest'anno ricorre il 700° anniversario della morte del Poeta.

Sul sito del Ministero dei Beni Culturali, dedicato a questo anniversario (dantesettecento.beniculturali.it), è possibile trovare l'elenco di tutti gli eventi.




                 Il culto di Dante

Nei secoli dal xv al xviii diverse manifestazioni riguardanti l’esaltazione e la commemorazione di Dante si susseguirono in diversi posti d’Italia, ma nessuna era mai stata una celebrazione centenaria. L’unico tentativo in tal senso è stato fatto intorno al 1821, anno centenario della nascita, con l’Accademia letteraria a Roma, al termine della quale fu coronato l’alloro al busto del Poeta con la recitazione di alcuni versi significativi. Ma per avere una vera e propria manifestazione di commemorazione bisognerà aspettare il 1865, quando si tennero solenni celebrazioni all’altezza del festeggiato, alla presenza del Re e di personalità importanti e di spicco.[1] Il «mito» di Dante è andato propagandosi e diffondendosi fin dalla sua morte, quando numerosi omaggi furono resi alla memoria del poeta scomparso. Questo mito ha subito varianti ed evoluzioni nel corso dei secoli, passando da momenti di estrema esaltazione, ad altri quasi di sottovalutazione e di oblio.

Fin dal Trecento si ha la diffusione di pubbliche letture delle opere del poeta, e poi, non bisogna dimenticare che è a questi anni che risale il Trattatello in laude di Dante di Giovanni Boccaccio. Il tutto avviene però, in una quasi totale indifferenza di Firenze. La fama di Dante si diffonde però tra le fasce di pubblico più disparate e l’elevato numero di copie manoscritte testimonia l’alto favore del pubblico. L’intervento del Boccaccio è fondamentale per il cosiddetto passaggio dalla “leggenda” a quello che diverrà un vero e proprio «mito».

Nel Quattrocento, la crisi del volgare ha provocato qualche episodio di ripulsa nei confronti del poeta e delle sue opere, accanto, però, a manifestazioni di riconoscimento e omaggio.

Nel Cinquecento si ripete, più o meno uguale, la stessa storia, soprattutto per quanto riguarda la questione linguistica. Pietro Bembo, infatti, non accolse la lingua di Dante come modello per la nuova lingua che andava proponendo, preferendogli il Petrarca. Bembo ammirava Dante come poeta ma non sembrava apprezzare il suo uso del volgare poco adatto alla poesia. Lo stesso pensiero condivideva anche Machiavelli, ammiratore e imitatore di Dante poeta, ma grande critico della sua lingua. Ma nonostante ciò, durante tutto il secolo videro la luce numerosi commenti del poema e nuove edizioni. Non bisogna dimenticare che il Cinquecento è un secolo importante per la Commedia, che acquista l’appellativo di Divina dato da Lodovico Dolce nell’edizione da lui curata nel 1555.

Il Seicento rappresenta la crisi per la fortuna di Dante. È il secolo in cui si ha il minor numero di edizioni pubblicate (soltanto tre)[2].

Un inizio di inversione di tendenza si ha a partire dal Settecento, anche se il clima culturale del secolo non era molto favorevole al poeta della Commedia. Tra i detrattori, si distinse il Bettinelli con le Lettere Virgiliane (1757), un vero e proprio documento contro la Commedia. A difendere Dante scese in campo Gasparo Gozzi con la Difesa di Dante, anche se circolavano ormai le pagine di Giambattista Vico in cui si celebrava Dante come uno dei geni primitivi dell’umanità, paragonabile a Omero. Con la cosiddetta polemica Bettinelli-Gozzi, si penetra per la prima volta nell’intimità del poema, rivelandone i significati più reconditi e scoprendone i valori nazionali, politici e patriottici. Per la prima volta viene affermata la necessità degli studi riguardanti la vita e il periodo in cui Dante visse e le sue opere minori: fu il risveglio dell’interesse nei confronti dell’Alighieri.

Come già visto, sarà il Romanticismo a portare a un pieno recupero di Dante e della sua opera. È durante questi anni che l’interesse per Dante assume un valore e un significato particolari alla luce degli eventi nazionali. Tra l’Ottocento e il Novecento ci sarà un forte sviluppo della critica e della filologia dantesca, con lo scopo di fissare i testi e le opere di Dante[3]. Il culto di Dante diventò sempre preponderante negli anni di preparazione al Risorgimento. L’idea civile di Dante diventò materia prima nel pensiero nazionale italiano e fu compresa nei suoi significati più alti e reconditi. Dal Monti e dall’Alfieri procede il più gagliardo ed efficace impulso a quella che Vincenzo Gioberti chiamerà la “risurrezione di Dante”, ravvisando in essa «la condizione richiesta per il risorgimento del pensiero e dell’ingegno italiano dacchè il principio dinamico per le nostre lettere sta nella Divina Commedia». Vengono poi il Leopardi e Alessandro Manzoni; vengono i classicisti e i romantici, che intendono gli uni e gli altri a difendere, a glorificare, a illustrare, a imitare l’opera del classico alunno di Virgilio, che è al tempo stesso il poeta di quel medioevo che il Romanticismo richiamava in onore.

Ecco anche le più insigni scritture d’esegesi e biografiche, ecco un commento tenuto ancor oggi in grande considerazione per le finissime osservazioni estetiche, quello del Tommaseo; e una vita, quella del Balbo, che fu per quei tempi utilissima cosa; e il Discorso del Foscolo sul testo della Divina Commedia, opera nuova e alta, che, dice il Mazzini, «condusse la critica sulle vie della storia», ricercando in Dante non solamente il poeta «ma il cittadino, il riformatore, l’apostolo religioso, il profeta della nazione».[4]

Il 1865 sarà l’anno centrale per la celebrazione di un vero omaggio nei confronti di Dante. A partire da questo momento ci sarà un susseguirsi di commemorazioni che si paleseranno nella dedica di statue e monumenti al poeta, ma vedranno la luce anche insigni istituzioni fondate in nome dell’Alighieri: la prima tra tutte è la Società Dantesca Italiana che nascerà nel 1888 e che può essere considerata come l’espressione più alta di quel sentimento di riconoscenza e rispetto provato da un popolo nei confronti di un grande poeta, assunto a vessillo di una passione nazionale e patriottica. La Società Dantesca nacque con il proposito di custodire e propagare la conoscenza e il culto di Dante. Il primo passo per raggiungere questi obiettivi era quello di partire dai testi e dalla scrittura, promuovendo lo studio e l’esegesi dell’opera.

Dal punto di vista letterario, il 1865 segna il punto d’avvio di una serie di pubblicazioni dantesche e della nascita di riviste e periodici in onore dell’Alighieri. Da non dimenticare è la pubblicazione del volume Dante e il suo secolo nato dalla collaborazione di grandi studiosi ed estimatori di Dante, a testimonianza del fatto che l’opera del Fiorentino non poteva essere compresa a prescindere dalla conoscenza della realtà in cui era vissuto.

Nel 1888 viene fondata la Società Dantesca Italiana e dall’anno successivo prende avvio la Lectura Dantis in Orsanmichele che si estese poi nelle varie parti d’Italia.

L’altra importante data per quanto riguarda le celebrazioni in favore di Dante, è il 1921: l’anno in cui ricorreva il sesto centenario dalla morte.
In questo anno Croce pubblica La poesia di Dante, in cui distingue nella Commedia la poesia vera e propria dalla struttura. Croce vuole attrarre l’attenzione sul fatto che bisogna tornare a concentrarsi sul testo, cercandone la vera natura e il vero significato solo al suo interno.

 

 

   Il Filone Ideologico-Politico

Come già accennato, durante il Risorgimento ci fu una riscoperta politica di Dante che viene assunto a simbolo della nazione e della creazione di una patria comune. Una figura centrale che contribuì a diffondere e a divulgare il culto di Dante come simbolo di nazione e di patria fu Guido Mazzoni che considera la Commedia come un catalogo di moralità, di affetti umani, di sentimenti valida, non solo per il passato, ma anche per il tempo che si stava vivendo.[5] Per Mazzoni, la nascita del culto patriottico di Dante va fatta risalire alla seconda metà del Settecento, parallelamente al diffondersi di nuovi gusti estetici, fino ad arrivare a vedere incarnati nel poema dantesco i valori morali, civili e patriottici che si andavano affermando e il classicismo rappresentava la chiave di lettura più adatta per la comprensione del testo dantesco e più congeniale al suo uso politico.[6] In questo contesto possono essere inserite le riflessioni di importanti personalità del periodo sia dal punto di vista politico-culturale che letterario. Tra di essi vanno menzionati Giuseppe Mazzini, Ugo Foscolo, Vincenzo Gioberti.

Le riflessioni di Mazzini nei confronti del poeta fiorentino e del suo poema trovano il loro punto di partenza negli studi di Ugo Foscolo sul poema dantesco. Mazzini invita a una lettura delle opere minori di Dante, attraverso le quali è possibile comprendere il carattere di vessillo nazionale del poeta: l’insieme delle opere rappresenta una sorta di escalation per la comprensione e l’interpretazione del pensiero di Dante che sembra rispecchiare la situazione presente pur essendo stato espresso più di cinque secoli prima. Il genovese vede nel poeta fiorentino una conferma dei principi e dei valori di cui egli si faceva portatore in quegli anni. Egli pensava che riuscendo, in un certo senso, a convincere gli Italiani che i suoi ideali erano gli stessi di cui si era fatto portavoce Dante,  avrebbe voluto dire dare maggiore appoggio alla sua battaglia per la creazione della nazione.[7]

Il pensiero mazziniano si inserisce in un contesto di scontro tra classicisti e romantici, ma le sue riflessioni non si circoscrivono all’ambito letterario, anzi acquistano maggior valore e vigore nell’evolversi del pensiero politico del genovese. In particolare, anche Mazzini come Foscolo, associa le proprie esperienze personali a quelle di Dante soprattutto per quanto riguarda l’esilio, non mancando di sottolineare e raccomandare che l’opera di Dante non può trovare piena comprensione senza la conoscenza della sua vicenda biografica[8]. Mazzini incornicia Dante nell’immagine ideale di un eroe-poeta, portatore di un’istanza di rinnovamento e viene pertanto assunto a simbolo di rinascita nazionale. Egli esprime vigorosamente il suo pensiero in un articolo intitolato Dell’amor patrio di Dante, scritto inizialmente per l’ “Antologia” ma poi pubblicato dal Tommaseo su Subalpino. In questo articolo Mazzini afferma pienamente le sue idee, sottolineando come il senso di patria, di nazione e l’amore per questa fossero ben radicati in Dante e come egli, pur essendo vissuto cinque secoli prima, esprimesse dei concetti e dei giudizi che ben si adattavano anche alla situazione attuale italiana. Ciò su cui si sofferma lo scrittore genovese è il periodo storico in cui visse Dante, affermando che la grandiosità del pensiero del fiorentino non può essere compresa indipendente dal contesto storico in cui egli scriveva. L’articolo si conclude con un’esortazione agli Italiani a leggere e studiare Dante e a prenderlo come modello nella ricerca di una soluzione per la condizione presente. Il pregio degli studi danteschi di Mazzini è nella loro funzione di stimolo alla conoscenza di Dante. Il culto ottocentesco di Dante appariva a Mazzini come affetto da un’ansia di rinnovamento del popolo italiano.

 

Il Foscolo si interessò allo studio sistematico e all’interpretazione di Dante negli anni dell’esilio inglese, durante i quali egli associa la sua esperienza a quella del Fiorentino, ma il nome di Dante compare già nelle sue prime opere di poesia e di critica, testimonianza di un culto che gli derivava dall’Alfieri e dal Vico.

L’esordio del lavoro critico è rappresentato dai due articoli pubblicati sulla «Edinburgh Review» nel 1818. l’intuizione centrale è che Dante vada spiegato alla luce della cultura, delle passioni, delle vicende dei suoi tempi; il punto di partenza è la constatazione che, per quanto l’analisi e lo studio secolari si siano occupati della Commedia, essa per la maggior parte avvolta nell’oscurità.

Il primo articolo è quasi interamente dedicato alla storia delle edizioni e dei commenti del poema, mentre nel secondo il Foscolo traccia un quadro storico dell’Italia, dai tempi di Gregorio vii a quelli di Dante. È un’età a metà tra la civiltà e la barbarie, di cui la Commedia ne è la voce poetica.

Nel Discorso sul testo del poema di Dante (Londra 1825) non solo si approfondiscono le precedenti intuizioni, ma compare un pensiero nuovo e originale, cioè che la Commedia sia il simbolo di un rinnovamento religioso e di una rinascita cristiana del mondo[9].

 Ma Foscolo fu anche e soprattutto uno dei maggiori sostenitori del Dante politico. Dante fu per Foscolo modello e ispirazione, fino a considerare la Commedia un’opera necessaria per gli Italiani, sia da un punto di vista politico che letterario che linguistico. L’interpretazione di Foscolo alimentò nei fautori e nei sostenitori del Risorgimento la consapevolezza e l’importanza di un culto politico e patriottico di Dante. La critica del Foscolo affrontò senza risparmio ogni sorta di problemi e richiamò l’attenzione dei critici verso nuove mete, valorizzando  il carattere soggettivo dell’esperienza poetica dantesca[10].

In Vincenzo Gioberti l’interesse per Dante fu vivo e continuo nella sua attività di filosofo e ideologo. L’opera del Fiorentino appariva a Gioberti come il frutto più alto della fantasia umana, come la sola a poter essere paragonata alla Bibbia.

Il significato del dantismo giobertiano non è nei risultati raggiungi, bensì nella nuova passione politica e morale che lo anima, in quello spirito risorgimentale come forza di penetrazione storica[11].

Le prime riflessione di Vincenzo Gioberti su Dante risalgono alle Chiose giovanili postillate, tra il 1821 e il 1823, a margine dell’edizione della Commedia del 1811.

Le Chiose ben si inseriscono nel dibattito dantesco dei primi anni dell’Ottocento. Fin dalle prime battute si rileva il giudizio giobertiano a sostegno dell’ortodossia cattolica di Dante.

L’ammirazione del giovane Gioberti per Dante superò persino quella che aveva per Alfieri, il suo poeta prediletto, a cui riconobbe però il merito di aver instaurato in Italia “il culto di Dante”,  per una letteratura che potesse alimentare negli italiani il desiderio di una patria indipendente[12].

L’interpretazione di Gioberti ha grande risonanza nel pensiero ottocentesco soprattutto per i motivi religiosi da cui è animata e che le consentono di essere utilizzata dalla corrente cattolica per confutare le proposte interpretative foscoliane.

 

 

    Il Filone critico-letterario

Dal punto di vista letterario, nell’Ottocento Dante viene preso a modello per nuovi componimenti, ma allo stesso tempo, diventa oggetto di nuovi studi e tentativi di commento. Infatti, in questo periodo grazie all’affermazione delle nuove scienze, la formulazione di un commento puntuale, rispondente a criteri unitari, diviene primaria. Chi si appresta a confezionare un commento del poema dantesco ha ben chiari due punti fondamentali: la rivendicazione della perfetta conformità di Dante con i canoni della grande letteratura di tutti i tempi e la sua affermazione  come archetipo del poeta della Patria. I nuovi commentatori sono ben consapevoli della difficoltà della comprensione del testo e per questo la loro principale “missione” sarà quella di una spiegazione chiara del testo anche dal punto di vista linguistico[13].

 

L’esilio fu l’occasione per gli studi danteschi di Gabriele Rossetti, che per analogia, amava ricondurre le proprie vicende biografiche a quelle del poeta. Infatti ai primi tempi dell’esilio possono datarsi i suoi interessi per Dante che si concretizzarono nel Comento analitico dell’Inferno. Le sue interpretazioni esegetiche suscitarono polemiche vivaci tra i letterati, e l’ambizioso disegno di un Comento analitico all’intero poema naufragò. Il valore preminente degli studi rossettiani sta proprio nella ricerca del simbolismo come simbolo di un’intera civiltà, quella medievale, in cui linguaggio, cultura, pensiero si rifugiano nell’allegoria come interpretazione di un mondo interiore.[14]

Egli proclamava l’esigenza di un’esegesi incentrata sull’allegoria, in quanto essa costituirebbe l’unico modo per espugnare il sistema dantesco, attribuendole un valore tale che figure, parole, lingua, struttura assumevano un significato criptografico con un conseguente linguaggio gergale, comprensibile a pochi..

La polivalenza verbale l’induceva a rinvenire reconditi significati non solo nella Commedia ma in tutta la poesia del Due-Trecento. Nei suoi ragionamenti, Rossetti mirava a creare un parallelismo tra la realtà politica del suo tempo giungendo a ritrovare se stesso in Dante e a proiettare le lotte delle fazioni trecentesche nelle vicende risorgimentali. Lo studio del sistema allegorico dantesco permette all’autore di affrontare il tema della Commedia che maggiormente lo interessava: la libertà politica della sua patria.

Secondo Rossetti la Commedia presenterebbe un carattere totalmente politico, che Dante utilizzò per comunicare con gli altri appartenenti alla sua stessa setta: una setta ghibellina e antipapale.[15]

Nel Comento emerge chiaramente l’intento del Rossetti di proiettare le vicende storiche dell’età di Dante nel panorama politico risorgimentale rilevando una netta analogia tra le due epoche tanto da sentirsi una sorta di prescelto e di prosecutore della battaglia a favore dell’indipendenza e dell’unità della patria. L’unico errore commesso dal Rossetti è stato quello di aver voluto trasporre la propria vicenda personale in quella dantesca per giustificare le proprie aspirazioni politiche.[16]

 

Per Francesco De Sanctis, invece, il punto di partenza per la sua critica dantesca è la concezione storiografica del Romanticismo, che annoverava, finalmente, Dante tra i massimi poeti. Il motivo principale che fa di Dante un soggetto fondamentale della critica desanctisiana era l’incontro, all’interno della Commedia, del mondo intellettuale chiaramente e consapevolmente delineato con una realtà storica multiforme popolata da diversi personaggi, ricca di passionalità.[17]

 L’opera di Francesco De Sanctis costituisce il punto di confluenza delle diverse correnti di pensiero e di studio ottocentesche intorno a Dante. L’analisi desanctisiana si definisce intorno alla composizione del dissidio tra elemento poetico ed elemento dottrinario-allegorico.

La riflessione desanctisiana prende avvio nell’Italia post-quarantottesca, quando una nuova situazione si andava ormai creando. In queste nuove circostanze la Commedia appare al critico come la ricreazione di una concreta situazione umana e storica: “l’interpretazione nuova del poema come l’enucleazione dell’universo del poeta, in cui vive e si riflette un momento del suo dramma storico e umano, della storia della sua nazione e del suo popolo”. De Sanctis, intriso di sentimento risorgimentale, intende la poesia come mezzo di intervento morale e civile. Ed è proprio all’interno di questa concezione che la Commedia diventa punto di riferimento della cultura nazionale[18].

 

Quando fu pubblicato il primo commento alla Commedia di Niccolò Tommaseo, il «mito» di Dante era in pieno vigore. Ma la piena comprensione del testo e dei suoi significati erano ancora lontani da criteri scientifici, alla luce anche del fatto che ci si era concentrati su un’ “attualizzazione” di Dante e del suo poema, dando maggior spazio alla saggistica più che al commento. Si poneva quindi il problema di un recupero da un punto di vista critico dell’opera che allo stesso tempo non contrastasse con gli ideali ideologico-politici dell’epoca.

In questo contesto, il commento Tommaseano rappresenta un decisivo salto in avanti soprattutto per quanto riguarda gli aspetti linguistici e letterari, culturali e del valore assunto dalla Commedia in questo preciso momento storico.

La sua «idea» di Dante, Tommaseo la costruisce lungo un lavoro durato oltre trent’anni, iniziato durante gli anni di maggiore aspirazione all’indipendenza e all’unità nazionale, e terminato a ridosso della costituzione di uno Stato nazionale che non equivale alla risoluzione di una serie di problemi politici, sociali, culturali. Il principale obiettivo di Tommaseo è quello di approdare a una piena comprensione della lingua di Dante; inoltre concepì una personale ricostruzione del testo, finalizzata principalmente alla lettura ad alta voce, a tal fine fu ripensata una nuova punteggiatura[19].

 

  Il Filone Statuario-monumentale

Simbolo di questa tipologia di culto è il Trentino, dove il culto e la memoria di Dante furono vivi anche nei secoli poco propizi alla fortuna del poeta. Qui il culto nacque già nel ‘700, infatti nel 1750 fu istituita l’Accademia degli Agiati che diede agli studi danteschi nuova vita e nuovo vigore.

Col risorgere del culto di Dante in tutta Italia alla metà dell’Ottocento, anche in Trentino si avviano nuove attività. Considerando le vicende risorgimentali del Trentino, notiamo che più vivo si fa il sentimento nazionale più cresce il culto verso Dante, simbolo dell’italianità.

Dopo le vicende del 1848, si fa sempre più avanti l’idea di erigere un monumento al poeta fiorentino. L’occasione per la realizzazione di un simile progetto si prospettò nel 1850, quando un incendio distrusse il palazzo cinquecentesco dei Baroni. Il progetto di ricostruzione di tale edificio prevedeva un rinnovamento e un allargamento, inserendo all’interno anche un monumento per il poeta. Purtroppo l’iniziativa non ebbe seguito, anche per gli impedimenti da parte austriaca.

Per assistere alla posa della prima pietra bisognerà attendere il 1893, momento significativo della manifestazione del sentimento di un popolo che vedeva in questo monumento il suo Altare della Patria.

L’11 ottobre 1896 veniva inaugurato il Monumento a Dante in Trento e questa sarebbe stata una delle date più importanti nella storia del patriottismo italiano del Trentino. Da questo momento l’11 ottobre sarebbe stato dichiarato giorno di festa per tutto il popolo di Trento.

Il monumento nella sua interezza è alto quasi 18 metri. La base, larga 13 metri, è realizzata in granito carnicino di Predazzo, le statue sono di bronzo. Al livello più basso viene rappresentato l'Inferno, con Minosse seduto su un drago. Al secondo livello il Purgatorio: Dante e Virgilio vengono rappresentati mentre incontrano anime espianti: Sordello da Goito, i superbi, che si riconoscono dai macigni che portano sulle spalle, gli invidiosi, i negligenti, seduti ad attendere. Al terzo livello si trova il Paradiso con Beatrice con le braccia aperte e gli angeli.

In cima al monumento Dante è rappresentato mentre cammina. Con la mano sinistra regge un libro (presumibilmente la Divina Commedia), mentre il braccio destro è steso.

Sul monumento e attorno a esso sono state incise numerose iscrizioni: sotto i piedi di Minosse si trovano le date di nascita e di morte di Dante in numeri romani; alla base del monumento è incisa un’epigrafe dettata da Guglielmo Ranzi[20]; un'epigrafe riporta la data dell'11 ottobre 1896, giorno dell'inaugurazione del Monumento[21]; un'ulteriore epigrafe è stata apposta nel 1919, dopo l'annessione del Trentino-Alto Adige all'Italia[22].



[1] F. Mazzoni, Il culto di Dante e la Società Dantesca Italiana, in «Studi Danteschi», LXXI, Roma, Salerno Editrice, 2006, pp. 335-359.

[2] E. Malato, Il mito di Dante dal Tre al Novecento, in Studi su Dante, Cittadella, Bertoncello Artigrafiche, 2005, pp. 658-692

[3] Id.

[4] F. Flamini, La varia fortuna di Dante in Italia, Firenze, G. C. Sansoni, 1914.

[5] G. Mazzoni, Il poeta della libertà, in Almae luces malae cruces: studi danteschi, Bologna, Zanichelli, 1941, pp. 23-39.

[6] G. Crupi, “Luces” e “cruces” del metodo critico: Guido Mazzoni dantista, Roma, Bulzoni, 2009.

[7] E. Bertana, Dante e Mazzini, in «Giornale dantesco» XXIV, n° 1-4, Firenze, Società Arti Grafiche, 1921, pp. 73-84.

[8] Id.

[9] Mario Scotti, Ugo Foscolo, in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1984 vol. II.

[10] Di Giannatale, cit. n. 7.

[11] Mario Scotti, Vincenzo Gioberti, in Enciclopedia Dantesca, vol. III.

[12] Id.

[13] V. Marucci, I commenti moderni della Divina Commedia, in «Per correr miglior acque…». Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo millennio. Atti del convegno di Verona-Roma, 25.29 settembre 1999, Roma, Salerno Editrice, 2001, pp. 641-669.

[14] P. di Giannantonio, Studi danteschi di Gabriele Rossetti, in «Alighieri», iv, 1963, i, pp. 43-49.

[15] Id.

[16] P. Di Giannatale, cit. n. 7.

[17] M. Fubini, Francesco De Sanctis, in Enciclopedia Dantesca, vol. II.

[18] Martinelli, cit. n.4.

[19] N. Tommaseo, Commento alla Commedia, a cura di Valerio Marucci, Roma, Salerno Editrice, 2004.

[20] Inchiniamoci Italiani / Inchinatevi Stranieri / Deh! Rialziamoci / Affratellati nella giustizia / Sei degli otto lati del piedistallo compongono queste parole: / A Dante / Al padre il / Trentino / Col plauso / E l'aiuto della / Nazione

[21] Affermazione e simbolo / Del pensiero italiano / Questo monumento / Dalle genti Tridentine eretto / All'altissimo poeta / Veniva oggi affidato alla custodia / Del municipio di Trento / XI OTTOBRE MDCCCXCVI

[22] Le parole di consacrazione / Al poeta nazionale / Cancellate dall'Austriaco / La società nazionale / Dante Alighieri / Nuovamente incise / Celebrando /la vittoria d'Italia / MCMXIX





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