Come delfini tra pescecani

François Morlupi, Come delfini tra pescecani, Salani, 2021, pp. 416, € 16,00.



È un ottimo poliziotto, il commissario Ansaldi, anche se da tempo immemore soffre di ipocondria e di attacchi d'ansia che rendono complicate anche le attività più semplici, nella vita come nel lavoro. Per fortuna il quartiere al quale è stato assegnato, Monteverde, è un’oasi di pace nel caos della capitale: un posto tranquillo, dove non succede mai niente. Forse è per questo che sotto il suo comando sono stati destinati altri quattro soggetti “particolari”, come ad esempio Eugénie Loy, il suo braccio destro, che soffre di un disturbo antisociale della personalità che la rende apparentemente insensibile, una “portatrice sana di disperazione” come la definiscono i colleghi, che però riconoscono in lei ottime doti investigative. Sono così, i Cinque di Monteverde: uomini e donne alle prese con le loro debolezze, ma capaci, insieme, di trasformarle in forza.
Un venerdì pomeriggio, un ultraottantenne vedovo e solitario viene trovato senza vita nel proprio appartamento, con un cappio al collo. Si direbbe un caso facile, il classico suicidio. Ma qualcosa non quadra ad Ansaldi e ai suoi, e quel piccolo dubbio si trasforma, nel volgere di pochi giorni, in un'indagine che turberà non solo la quiete di Monteverde ma anche le stanze della politica.
Demolendo con sarcasmo graffiante lo stereotipo del poliziotto supereroe, Morlupi ha saputo dare un volto credibile a chi per mestiere affronta il crimine, alternando intuizioni fulminee a epiche figuracce. Una ventata fresca nel panorama giallo italiano.



Un giallo insolito che offre un affresco di Roma forse un po' diverso, che guarda alla città considerandola nei suoi diversi aspetti: nella sua magnificenza e maestosità ma anche nei suoi mille problemi, nel caos quotidiano, nel traffico infinito, nelle sue contraddizioni ma che sa accogliere e incantare chiunque la guardi. 


Leoncini, disperato, suonava all'impazzata. Un signore di mezza età, non curandosi della divisa dell'agente scelto, gli urlò: «E ora che hai sonato, canta!»

[...] Finché l'ironia e soprattutto l'autoironia resistevano in città, la capitale non era spacciata, avrebbe galleggiato senza affogare. Il giorno in cui le avrebbero perse, sarebbe stata la fine per tutti. Era questa la grande forza dei romani, sopravvivere ai disagi, scherzandoci su. Non li avrebbero risolti, ma al tempo stesso non ne sarebbero morti.


I protagonisti di questo libro non rappresentano sicuramente lo stereotipo degli eroi o dei superpoliziotti a cui spesso siamo abituati, anzi vengono rappresentati con tutte le loro debolezze. Questo libro è sicuramente un giallo insolito ma che ci regala un'umanizzazione dei personaggi, avvicinandoli al lettore.

Anche il commissario, Biagio Maria Ansaldi, non è il classico poliziotto che non ha paura di niente, sprezzante del pericolo. È pieno di ansie, qualsiasi cosa lo mette in agitazione, e la sua ipocondria non lo abbandona un attimo. Eppure ciò non toglie che egli sia un ottimo poliziotto, così come tutti gli altri membri della sua squadra. Ognuno con le sue manie, le sue fissazioni, le sue ansie e i suoi problemi, ma tutti pronti a mettere il loro impegno per la risoluzione del caso a cui si trovano a lavorare e che si svelerà molto più contorto di quanto volesse apparire nei primi momenti.

Tutti i personaggi non ci vengono raccontati solo in relazione al loro lavoro ma anche, e incerti casi soprattutto, nella loro vita privata, mettendoci quel tarlo che stuzzica la nostra curiosità e che ci spinge a volerne sapere di più su ognuno di loro. 

I Cinque di Monteverde, come abbiamo imparato a chiamarli, rappresentano dei delfini in un mondo di pescecani proprio perché ci vengono raccontati nella loro umanità in un mondo pieno di cinismo e cattiveria che spesso diventa brutalità. Ma è poi così scontato che un gruppo di delfini sia destinato a soccombere di fronte a dei pescecani? 






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