Purgatorio. Canto VIII e Canto IX

 Purgatorio. Canto VIII.



Ancora nella valletta dei principi negligenti. Le anime intonano la preghiera della sera. Arrivo degli angeli armati di spada. Sordello conduce Dante e Virgilio nella valletta. Incontro con Nino Visconti. Arrivo del serpente, messo in fuga dagli angeli. Incontro con Corrado Malaspina.

 

Il Canto si apre con la descrizione del tramonto e della nostalgia di casa: è un evidente riferimento alla situazione di esule del poeta, che sarà poi ripresa alla fine dell'episodio durante il colloquio con Corrado Malaspina la cui famiglia darà asilo a Dante. Il tema dell'esilio e delle lotte politiche interne alle città si riallaccia all'invettiva all'Italia del Canto VI ed è al centro anche dell'incontro con l'altro penitente di questo Canto, quel Nino Visconti che qui è ricordato come giudice di Gallura, ma che era stato parte attiva nelle lotte interne alla città di Pisa che avevano coinvolto anche Ugolino e Ruggieri.

Prima e durante l'incontro coi due penitenti ci sono poi i due atti di quella che è stata definita una «sacra rappresentazione», ovvero l'arrivo degli angeli a guardia della valletta e poi del serpente

Orientando gli occhi al cielo con la stessa ansia e lo stesso abbandono dei principi, il pellegrino vede sbucare dall’alto due angeli che brandiscono spade di fiamme

Gli angeli vestivano il verde-speranza di foglioline appena nate. Uno venne a disporsi proprio sopra di loro, i tre poeti; l’altro calò sulla sponda opposta cosi tenevano sotto controllo l’intera valletta e la totalità delle anime. Distingue bene, Dante, il biondo delle teste, ma l’occhio si smarrisce in quei visi abbaglianti.

“Dalla parte più scoperta della piccola vallea era appena apparsa una serpe, forse quella che istigò Eva a cibarsi del frutto amaro dell’albero della conoscenza. Fra l’erba e i fiori avanzava strisciando il malo serpente e volgeva la testa ora qua ora là, e si leccava il dosso come a farsi velenosamente bella.

Il Male astuto è stato messo in fuga dall’apparizione stessa del Bene. Domani sera tenterà la rivincita. E sarà sgominato di nuovo, come da sempre e per sempre, finché tutto il creato non sarà riassorbito dal creatore. Allora, per chi pregano in coro le anime dei principi, se le «repliche» della pantomima si annunciano per quello che sono: simulazioni, identiche in perpetuo, della remotissima «prima», consumatasi nell’Eden all’inizio dei tempi e delle Scrittura? Forse pregano per ognuno: per sé, per Dante e per noi, amico mio, oberati di peccati; per chiunque si renda conto che la fede, che è certezza dell’Essere, si completa con l’esercizio della speranza, e si perfeziona nella trafila esistenziale di ansie e tremori ricorrenti, ricordi opachi, minute felicità. Mistero semplicissimo e inestricabile, di cui il poeta ci sta ancora chiamando a testimoni.” (Vittorio Sermonti, Il Purgatorio, Garzanti, 2021)

 

Era già l’ora che volge il disio

ai navicanti e ‘ntenerisce il core

lo dì c’han detto ai dolci amici addio;                              3

 

e che lo novo peregrin d’amore

punge, se ode squilla di lontano

che paia il giorno pianger che si more;                          6

 

quand’io incominciai a render vano

l’udire e a mirare una de l’alme

surta, che l’ascoltar chiedea con mano.                        9

[…]

quando sarai di là da le larghe onde,

dì a Giovanna mia che per me chiami

là dove a li ‘nnocenti si risponde.                                   72

 

Non credo che la sua madre più m’ami,

poscia che trasmutò le bianche bende,

le quai convien che, misera!, ancor brami.                   75

 

Per lei assai di lieve si comprende

quanto in femmina foco d’amor dura,

se l’occhio o ‘l tatto spesso non l’accende.                  78





Purgatorio. Canto IX.



Dante si addormenta nella valletta. Sogno dell'aquila (santa Lucia porta dante alla porta del Purgatorio). Incontro con l'angelo guardiano, che incide sette P sulla fronte di Dante. Ingresso in Purgatorio.

 

Sono giunti a un punto in cui dove prima sembrava esserci una crepa nella parete della montagna, il pellegrino ora vede una porta con tre gradini di colore differente e un portiere immobile e silenzioso.

“Dante lo scruta e, scrutandolo, s’accorge che è seduto alla sommità della breve gradinata e che il suo viso è d’intollerabile fulgore. Ha in mano una spada nuda e tale su quella lama è il riverbero dei raggi del sole, che, per quanto tenti, il pellegrino non riesce a guardarla.” […]

Dante usa un’«intertestualità interna» ama, cioè, citarsi in modo particolare, in quanto non lo fa per sottrarsi alla ricerca di qualche variazione ma è “come se l’incastro grammaticale, come se il suono stesso delle parole che ha scritto irradiasse più significato di quanto deliberatamente gliene abbia conferito lui: come anche il testo della sua Commedia avesse le misteriose prerogative delle «sacre scritture», e gli intimasse una «sacra lettura».

L’azione dell’angelo che fa entrare Dante e Virgilio in Purgatorio è una sequenza di gesti quasi sacramentali.

“L’azione configura il sacramento della penitenza; che l’angelo sia il confessore che con l’assoluzione dà «forma» al sacramento; Dante, il penitente che con i suoi atti gli fornisce «materia», secondo la terminologia di Tommaso d’Aquino.

La spada abbagliante dell’angelo-confessore significa le sue insindacabili competenze giudiziarie. […]

I tre gradini sono le tre fasi del sacramento. Il primo sarà la contrizione prescritta ai fedeli che «specchiatosi nel cuore suo, recasi a mente tutti i suoi peccati e di quelli pentesi interamente»: di qui il bianco rifrangente del marmo. Il secondo, la confessione orale, e il color nero-sangue della pietra vulcanica «ci ha a dimostrare la tinta della vergogna che riceve il peccatore confessando i suoi peccati; l’essere la pietra crepata per lungo e per traverso, ci dimostra che dentro come di fuori si debbe vergognare». Il terzo gradino, su cui l’angelo posa ambo le piante, è l’opera di penitenza e il suo «colore di fuoco hae a denotare l’ardore della carità».

La porta di diamante sarà la tenacia dei buoni propositi e la conseguente pace con Dio, ripristinata nel suo rigoroso splendore dalla remissione dei peccati.

Le sette P tracciate sulla fronte del penitente, secondo una serie di modelli scritturali, valgono i peccati ordinati ai sette vizi capitali, e puniti sulle sette balze del purgatorio. L’assoluzione dai peccati attuali, significata dall’ingresso nel purgatorio, attenua infatti ma non cancella le male disposizioni connaturate alla condizione umana dal peccato originale: per cancellarle compiutamente sarà indispensabile l’esercizio oblativo della penitenza.

La veste cinerina e polverosa dell’angelo indica l’umiltà con cui il confessore deve accingersi al suo ministero.

Le due chiavi, consegnate all’angelo da Pietro, e indispensabili entrambi ad aprir la porta del purgatorio, significano la doppia prerogativa che la Chiesa conferisce al confessore: quella d’oro, la più preziosa, è la facoltà discrezionale di assolvere dai peccati, quella d’argento, la più difficile da usare, è la «scientia discernendi», cioè la dottrina e l’intelligenza psicologica necessarie al sacerdote per sciogliere responsabilmente i singoli groppi di coscienza. […]

La prescrizione dell’angelo a non voltarsi indietro, ci intima di non tornare sui nostri peccati.

[…]

«Non aver tema», disse il mio segnore;

«fatti sicur, ché noi semo a buon punto;

non stringer, ma rallarga ogne vigore.                           48

 

Tu se’ omai al purgatorio giunto:

vedi là il balzo che ‘l chiude dintorno;

vedi l’entrata là ‘ve par digiunto.                                      51

 

Dianzi, ne l’alba che procede al giorno,

quando l’anima tua dentro dormia,

sovra li fiori ond’è là giù addorno                                    54

 

venne una donna, e disse: "I’ son Lucia;

lasciatemi pigliar costui che dorme;

sì l’agevolerò per la sua via".                                           57

[…]

vidi una porta, e tre gradi di sotto

per gire ad essa, di color diversi,

e un portier ch’ancor non facea motto.                          78

[…]

e una spada nuda avea in mano,

che reflettea i raggi sì ver’ noi,

ch’io drizzava spesso il viso in vano.                              84

 

«Dite costinci: che volete voi?»,

cominciò elli a dire, «ov’è la scorta?

Guardate che ‘l venir sù non vi nòi».                             87

 

«Donna del ciel, di queste cose accorta»,

rispuose ‘l mio maestro a lui, «pur dianzi

ne disse: "Andate là: quivi è la porta"».                          90

 

«Ed ella i passi vostri in bene avanzi»,

ricominciò il cortese portinaio:

«Venite dunque a’ nostri gradi innanzi».                       93

 

Là ne venimmo; e lo scaglion primaio

bianco marmo era sì pulito e terso,

ch’io mi specchiai in esso qual io paio.                        96

 

Era il secondo tinto più che perso,

d’una petrina ruvida e arsiccia,

crepata per lo lungo e per traverso.                                99

 

Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,

porfido mi parea, sì fiammeggiante,

come sangue che fuor di vena spiccia.                        102

 

Sovra questo tenea ambo le piante

l’angel di Dio, sedendo in su la soglia,

che mi sembiava pietra di diamante.                           105

[…]

Divoto mi gittai a’ santi piedi;

misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,

ma tre volte nel petto pria mi diedi.                               111

 

Sette P ne la fronte mi descrisse

col punton de la spada, e «Fa che lavi,

quando se’ dentro, queste piaghe», disse.                114

Cenere, o terra che secca si cavi,

d’un color fora col suo vestimento;

e di sotto da quel trasse due chiavi.                             117

 

L’una era d’oro e l’altra era d’argento;

pria con la bianca e poscia con la gialla

fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.                               120

[…]

Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,

dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti

che di fuor torna chi ‘n dietro si guata».                        132



Riferimenti bibliografici:

Vittorio Sermonti, Il Purgatorio, Garzanti, 2021.

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