Purgatorio. Canto XII e Canto XIII

 Purgatorio. Canto XII.




Ancora nella I Cornice. Esempi di Superbia punita; ammonimento agli uomini. Incontro con l'angelo dell'umiltà. Salita alla II Cornice.

Il Canto è simmetricamente diviso in due parti, di cui la prima chiude l'ampio episodio dedicato alla superbia mostrando gli esempi di questo peccato punito, mentre la seconda ci introduce alla Cornice successiva con la descrizione dell'angelo dell'umiltà e l'accesso alla scala che consente ai due poeti di salire. Gli esempi di superbia punita sono anch'essi scolpiti come quelli di umiltà del Canto X, con la differenza che questi effigiano il pavimento della Cornice e costringono Dante e i superbi a calpestarli, in segno spregiativo rispetto alla presunzione dei personaggi raffigurati: si tratta anche in questo caso di opere d'arte straordinarie, realizzate dalla mano di Dio e perciò incredibilmente più realistiche di qualunque scultura prodotta da un artista umano.

Nella seconda parte del Canto, Dante, dopo la considerazione che il tempo è trascorso senza che lui se ne sia accorto, è invitato dal maestro ad affrettarsi a raggiungere l'accesso alla II Cornice in quanto è ormai passato mezzogiorno. È l'angelo dell'umiltà a indirizzare i due poeti verso la scala, non prima di aver cancellato dalla fronte di Dante la prima P corrispondente al primo peccato capitale espiato: l'angelo sottolinea che ben di rado delle anime passano da lì per salire alla Cornice successiva, considerazione che è analoga alla difficoltà con cui l'angelo guardiano aveva aperto la porta del Purgatorio. Dante si sofferma sulla maggiore facilità dell'ascesa, come se si fosse liberato da un peso: ciò conferma quanto detto da Virgilio circa la salita del monte e dà modo a Dante di spiegare con la vivace similitudine finale il fatto che la prima P sia stata cancellata, il che ricorda che il suo percorso, qui nel Purgatorio, è soprattutto un cammino di purificazione: una volta depennata la Superbia, tutti gli altri vizi si attenuano.

[…]

Ahi quanto son diverse quelle foci

da l’infernali! ché quivi per canti

s’entra, e là giù per lamenti feroci.                                 114

[…]

«Quando i P che son rimasi

ancor nel volto tuo presso che stinti,

saranno, com’è l’un, del tutto rasi,                                123

 

fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,

che non pur non fatica sentiranno,

ma fia diletto loro esser sù pinti».                                 126



Purgatorio. Canto XIII.



Ingresso nella II Cornice. Esempi di carità. Descrizione della pena degli Invidiosi. Incontro con Sapìa senese. 

Il Canto ha più che altro la funzione di introdurci nella II Cornice e preparare il terreno per l'episodio successivo di Guido del Duca, molto più significativo ed interessante: qui sono molte le lungaggini e le parti puramente didascaliche, mentre la protagonista Sapìa è in effetti un personaggio non perfettamente centrato nella sua fisionomia. 

La descrizione della pena degli invidiosi avviene con una serie di immagini che riconducono tutte alla vista negata ai penitenti, sottolineando che la loro pena consiste principalmente nel non poter guardare in modo malevolo come fecero quando erano in vita.

Gli Invidiosi, che non hanno tollerato di vedere la felicità altrui, perché in quella vedevano una diminuzione della propria, sono vestiti di livido contro il lividore della roccia a espiazione di vecchi livori, con le palpebre cucite. Ma riescono a piangere e proprio questo pianto faticoso e buio promette a questi ciechi il recupero del bene della vista, la restituzione del sole.

[…]

Questo cinghio sferza

la colpa de la invidia

[…]

E come a li orbi non approda il sole,

così a l’ombre quivi, ond’io parlo ora,

luce del ciel di sé largir non vole;                                   69

[…]

Savia non fui, avvegna che Sapìa

fossi chiamata, e fui de li altrui danni

più lieta assai che di ventura mia.                                 111

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