Purgatorio. Canto XIV e Canto XV

 Purgatorio. Canto XIV



Ancora tra gli Invidiosi della II Cornice. Incontro con Guido del Duca e Rinieri da Calboli. Apostrofe di Guido contro gli abitanti di Valdarno e profezia su Fulcieri da Calboli. Condanna della corruzione morale della Romagna. Esempi di invidia punita e ammonimento di Virgilio agli uomini.

Il Canto chiude l'episodio dedicato agli invidiosi iniziato con il XIII e che prosegue senza alcuna introduzione con il dialogo di Guido del Duca e Rinieri da Calboli, stupiti della presenza in Purgatorio di un vivo di cui vorrebbero conoscere il nome e la provenienza: in realtà il vero protagonista del Canto è Guido, il nobile ravennate che nella prima parte dell'episodio condanna la degenerazione dei popoli di Valdarno, nella seconda critica il declino morale e il tramonto delle virtù cavalleresche della Romagna. L'occasione per il primo discorso di Guido è offerta da Dante personaggio, che si presenta allusivamente come un viaggiatore venuto dalla valle dell'Arno, fiume che non viene nominato ma indicato con una perifrasi che contiene precise indicazioni geografiche. Guido giustifica la reticenza sul nome dell'Arno condannando come poco virtuosi i popoli che ne abitano la valle, anche da lui descritta con una complessa perifrasi che ne illustra i confini geografici: Casentinesi, Aretini, Fiorentini e Pisani sono paragonati ad animali come se avessero subìto una trasformazione da parte della maga Circe, ed è chiaro che ciascun animale rispecchia un difetto o un vizio di ognuno. Solo a questo punto Guido presenta se stesso e il compagno di pena, su preghiera di Dante che è rimasto colpito dalle parole del penitente e dall'aspetto corrucciato di Rinieri per ciò che ha udito del nipote: la presentazione dell'altro invidioso permette a Guido di iniziare un secondo discorso sulla decadenza morale della sua terra, la Romagna, un tempo dominata da signori in pieno possesso di quelle virtù cavalleresche che ora, invece, non esistono più.

Il Canto si chiude con gli esempi di Invidia punita. le ultime parole sono di Virgilio, che sottolinea la follia degli uomini che si lasciano attrarre dalle lusinghe del male anziché scegliere il bene offerto dal Cielo, per cui è ovvio che siano duramente puniti da chi tutto discerne, cioè da Dio. La condanna di Virgilio è rivolta contro la corruzione umana, collegandosi al discorso di Guido che aveva in fondo lo stesso significato e che sottolineava proprio come la gente umana desideri più spesso i beni materiali, ovvero quelli il cui possesso esclude la partecipazione altrui.

 

[…] «Per mezza Toscana si spazia

un fiumicel che nasce in Falterona,

e cento miglia di corso nol sazia.                                   18

 

Di sovr’esso rech’io questa persona:

dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno,

ché ‘l nome mio ancor molto non suona».                   21

 

«Se ben lo ‘ntendimento tuo accarno

con lo ‘ntelletto», allora mi rispuose

quei che diceva pria, «tu parli d’Arno».                          24

[…]

ch’io fui Guido del Duca.                               81

 

Fu il sangue mio d’invidia sì riarso,

che se veduto avesse uom farsi lieto,

visto m’avresti di livore sparso.                                       84

[…]

Questi è Rinier; questi è ‘l pregio e l’onore

de la casa da Calboli, ove nullo

fatto s’è reda poi del suo valore.                                     90

 



Purgatorio. Canto XV.



Incontro con l'angelo della misericordia. Salita dalla II alla III Cornice. Spiegazione di Virgilio circa una frase di Guido del Duca. Esempi di mansuetudine. Ingresso nel fumo della III Cornice.

Il Canto è un intermezzo narrativo e dottrinale che introduce al passaggio nella Cornice successiva, attraverso i tre momenti dell'apparizione dell'angelo, della spiegazione di Virgilio, degli esempi di mansuetudine. L'incontro con l'angelo della misericordia ricalca quello avvenuto nel Canto XII con l'angelo dell'umiltà, con la variante che qui Dante è abbagliato dal suo fulgore: Virgilio spiega che ciò è dovuto al fatto che la natura umana del poeta non gli consente di fissare lo sguardo nei messi celesti, proprio come non può guardare direttamente il sole che li colpisce di fronte, mentre più avanti ciò gli procurerà piacere. La salita alla III Cornice lungo una scala meno ripida delle precedenti dà modo a Dante di chiedere spiegazioni circa una frase di Guido del Duca, Virgilio offre una spiegazione dottrinale, distinguendo tra i beni terreni che hanno questa caratteristica e quelli celesti che sono opposti, in quanto il loro godimento cresce quanto più numerosi sono coloro che li possiedono. L'ingresso nella III Cornice degli iracondi è accompagnata dagli esempi di mansuetudine, questa volta attraverso visioni che Dante osserva in una sorta di rapimento estatico. I tre esempi sono ancora una volta tratti dalla tradizione biblica. Il Canto si chiude con l'ingresso nel buio d'inferno della Cornice che rappresenta il contrappasso degli iracondi, i quali agirono in vita con la mente ottenebrata e gli occhi chiusi alla luce dell'amore di Dio di cui il Canto ha celebrato le lodi.

 

[…]

E i raggi ne ferien per mezzo ‘l naso,

perché per noi girato era sì ‘l monte,

che già dritti andavamo inver’ l’occaso,                         9

 

quand’io senti’ a me gravar la fronte

a lo splendore assai più che di prima,

e stupor m’eran le cose non conte;                               12

 

ond’io levai le mani inver’ la cima

de le mie ciglia, e fecimi ‘l solecchio,

che del soverchio visibile lima.                                       15

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