L'età fragile
Donatella Di Pietrantonio, L'età fragile, Einaudi, 2023, pp. 192, € 18,00.
Vincitore Premio Strega 2024.
Non esiste un'età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta. Ma c'è un momento preciso, quando ci buttiamo nel mondo, in cui siamo esposti e nudi, e il mondo non ci deve ferire. Per questo Lucia, che una notte di trent'anni fa si è salvata per un caso, adesso scruta con spavento il silenzio di sua figlia. Quella notte al Dente del Lupo c'erano tutti. I pastori dell'Appennino, i proprietari del campeggio, i cacciatori, i carabinieri. Tutti, tranne tre ragazze che non c'erano più.
Fin dal titolo il lettore si trova a dover fare i conti con una domanda costante: “Qual è l’età fragile? A cosa fa riferimento l’autrice?” E arriverà alla fine non certo di aver trovato una risposta univoca, perché Donatella Di Pietrantonio non ce la dà. Perché non esiste una vera e propria “età fragile”: ogni periodo della vita ha le sue fragilità, ognuno di noi si trascina dietro le proprie fragilità ed è con esse che deve fare i conti in ogni fase della sua esistenza.
La protagonista e voce narrante de L’età fragile è Lucia, una donna che potrebbe tranquillamente rappresentare tutte le donne. Perché è una donna che vive con le sue fragilità, con le sue paure, con le sue ombre e i suoi segreti, spesso non sapendo bene come affrontare la vita stessa, ma semplicemente facendosi trascinare e trasportare dagli eventi. Questa è l’impressione che ho avuto della protagonista che preferisce quasi dimenticare piuttosto che fare i conti con un passato doloroso che è stata incapace di affrontare veramente pur avendolo vissuto da vicino. Preferendo perdere l’amica di sempre anziché trovare il coraggio di starle vicino in un momento veramente duro e complicato. Lucia ha preferito far finta di niente, ha scelto di non scegliere, di non decidere e, con il passare del tempo, di vivere come se quel passato quasi non fosse mai esistito. Ma il passato torna sempre a chiedere il conto e anche Lucia dovrà fare i conti con gli eventi successi molti anni prima per poter veramente vivere la propria vita e ricostruire un rapporto con la figlia Amanda.
Donatella Di Pietrantonio ambienta la sua narrazione in un piccolo paese in provincia di Pescara, in Abruzzo, ma narra una realtà che può appartenere a molte zone del nostro Paese. Una realtà rurale, fortemente patriarcale, dove esprimere sentimenti e emozioni sembra essere quasi vietato, dove è l’uomo a decidere per la moglie e per i figli.
Ecco il potere che mio padre ancora esercita su di me, le decisioni già
prese che non posso cambiare.
Lucia, la protagonista e voce narrante, crede che lei, invece, a un certo punto, ha deciso, ha preso la sua strada. Sì forse in parte è vero: lei ha deciso di studiare, di aprire il suo studio di fisioterapia e di abbandonare la vita di campagna a cui sembrava essere destinata, ma non si rende conto che in realtà è rimasta sempre intrappolata lì. Ed è proprio suo padre a ricordarglielo quando decide di liberarsi dei suoi bene per intestarli a Lucia, la sua unica figlia: dovrà essere lei ora a occuparsi di quei terreni e soprattutto di quella parte chiamata “Il Dente del Lupo” che fa riaffiorare alla mente di Lucia dei ricordi dolorosi che credeva di aver sepolto e quasi cancellato.
Il rapporto genitori-figli è centrale in questo racconto. Perché Lucia non deve affrontare solo il rapporto con suo padre, ma anche quello con sua figlia. Lucia è figlia ma è anche madre. In entrambi i casi Lucia si trova in difficoltà, in entrambe le situazioni c’è un problema di incomunicabilità. Lucia e suo padre non riescono a comunicare fino in fondo cosa pensano o quello che provano. Allo stesso modo Lucia non riesce a parlare con la figlia Amanda, tornata a casa durante la pandemia da Milano dove era andata per studiare ma dove deve aver vissuto qualcosa che l’ha segnata profondamente e che Lucia non riesce a comprendere fino in fondo.
Deve essere libera mi dicevo, per quello non salivo su un treno. Con una
debolezza dentro mi limitavo ai gesti quotidiani, non osavo di più. Non volevo
che mi vedesse come stavo. Ho addomesticato la paura che avevo all’inizio per
lei. Un posto che aveva tanto desiderato non poteva farle del male.
Con una scrittura precisa, diretta, a volte dolorosa, Donatella Di Pietrantonio, ci porta dentro una storia profonda che parla e che riguarda tutti e che invita a non nascondere le proprie fragilità, a qualsiasi età.
Eravamo giovani, ma non invincibili. Eravamo fragili. Scoprivo da un
momento all’altro che potevamo cadere, perderci e persino morire.
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