Antonio Scurati, M. Gli ultimi giorni dell'Europa, Bompiani, 2022, pp. 432.
Il 3 maggio 1938, nella nuova stazione Ostiense, Mussolini insieme a Vittorio Emanuele III e al ministro degli esteri Ciano attende il convoglio con il quale Hitler e i suoi gerarchi scendono in Italia per una visita che toccherà Roma, Napoli e Firenze. Da poche settimane Hitler ha proclamato l’Anschluss dell’Austria e Mussolini, dopo aver deciso l’uscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni, si appresta a promulgare una legislazione razziale di inaudita durezza. Eppure sono ancora molti a sperare che il delirio di potenza dei due capi di Stato possa fermarsi: tra loro Ranuccio Bianchi Bandinelli, l’archeologo incaricato di guidare il Führer tra le rovine della città eterna; Renzo Ravenna, decorato nella Grande guerra, fascista zelante e podestà di Ferrara, che al pari di migliaia di altri ebrei italiani non si dà pace per i provvedimenti che lo pongono ai margini della vita civile; Margherita Sarfatti, che sino all’ultimo spera in uno spostamento degli equilibri verso l’asse anglofrancese ma deve cedere il passo alla giovane Claretta Petacci e fuggire; e lo stesso Ciano, distratto da tresche sentimentali e politiche insensate come il piano di conquista dell’Albania, che solo un anno dopo, nel maggio 1939, si trova a siglare insieme a Ribbentrop il Patto d’Acciaio con il quale “l’Italia e la Germania intendono, in mezzo a un mondo inquieto e in dissoluzione, adempiere al loro compito di assicurare le basi della civiltà europea”. Antonio Scurati ricostruisce con febbrile precisione lo spaventoso delirio di Mussolini, pateticamente illuso di poter influenzare le decisioni del Führer, consapevole dell’impreparazione italiana, più che mai solo fino alla sera del giugno 1940 in cui dal balcone di Palazzo Venezia proclama “l’ora delle decisioni irrevocabili”. In questo nuovo pannello del suo grande progetto letterario e civile, Scurati inquadra il fatale triennio 1938-40, culmine dell’autoinganno dell’Italia fascista, che si piega all’infamia delle leggi razziali e dell’alleanza con la Germania nazista, e ripercorre gli ultimi giorni di un’Europa squassata da atti di barbara prevaricazione e incapace di sottrarsi al maleficio dei totalitarismi: un romanzo tragico e potente, carico di moniti per il nostro futuro.
Gli uomini – è cosa nota – spesso diventano ciò che credono di essere. È forse in questo momento che il Duce del fascismo e il Führer del nazismo, rappresentandosi come uniti da un comune destino, si consegnano a esso. È forse di fronte a queste migliaia di fiaccole che Benito Mussolini e Adolf Hitler si convincono l’uno del genio dell’altro.
La narrazione, come già nei primi due volumi, viene supportata da documenti che testimoniano i fatti e gli eventi.
Quello che continua a colpire e a lasciare quasi interdetti è il comportamento di chi in quegli anni viveva e partecipava alla vita del Paese, cittadini comuni ma anche e soprattutto coloro che popolavano il Parlamento ed erano deputati alle decisioni.
Mussolini era sempre più pieno di sé, dal proprio egoismo e dal proprio tornaconto personale. Il suo unico obiettivo era quello di realizzare i suoi progetti folli e di non sfigurare di fronte al Führer, non riuscendo a valutare con obiettività la reale situazione di un popolo e di un Paese, l'Italia.
[Il Duce del fascismo] La scelta di trovarsi sempre dalla parte del più forte, del più brutale, del più violento lo ha condotto all'esito più paradossale e al tempo stesso ovvio: al terrore di rimanere solo di fronte a lui.
Galeazzo Ciano, ministro degli esteri, genero di Mussolini, si rende conto benissimo di ciò che sta succedendo, del pericolo di una guerra, dell'impossibilità dell'Italia di parteciparvi, ma non ha il coraggio di esternare i suoi pensieri e di opporsi direttamente e decisivamente al Duce.
Gli italiani, lo si sa, si scoprono quasi sempre impreparati di fronte alla tragedia ma hanno l’orecchio assoluto per la commedia. Questa è la loro condanna ed è anche la condanna di Galeazzo Ciano.
[Galeazzo Ciano si trova a dover] prendere la decisione della vita. Opporsi a viso aperto alla guerra? Rassegnare le proprie dimissioni da ministro, genero e marito? Naufragare nella cronaca di un disastro annunciato per salvare la propria anima e il proprio nome nella storia? Oppure perseverare nella parte assegnatagli in commedia dall’uomo forte del fascismo e dalla propria debole tempra morale, continuando a esternare il suo dissenso privato negli spogliatoi del golf club e, simultaneamente, a eseguire in pubblico, con zelo assoluto, le disposizioni del suo Duce?
Lo spirito di emulazione nei confronti di Hitler porta Mussolini a supportarne, condividerne e imitarne i provvedimenti. È quanto successo con le leggi razziali. In Italia gli ebrei rappresentavano una minoranza pur avendo un ruolo molto attivo nella vita del Paese dal punto di vista economico e sociale.
Quasi nessuno osò opporsi a questa scellerata decisione. Un unico tentativo fu fatto da Italo Balbo che era sempre stato molto vicino agli ebrei. Naturalmente non ebbe successo.
Le leggi razziali hanno rappresentato una vera vergogna per il nostro Paese e la nostra storia e leggere il racconto storico di come esse siano state partorite e approvate può creare solo e ancora di più un senso di rabbia e vergogna. Viene da chiedersi come sia stato possibile che nessuno abbia avuto la forza e il coraggio di dire che era qualcosa di ignobile. Era davvero così impossibile esprimere un pensiero contrario?
[Sulle leggi razziali] “Dichiaro approvati per acclamazione questi disegni di legge, che saranno poi votati a scrutinio segreto”.
L’intero procedimento è durato, forse, venti minuti. Non una parola dai rappresentanti del popolo italiano è stata spesa a suo riguardo. Questa la misura dell’importanza che il Parlamento fascista attribuisce alla legislazione razziale.
È chiaro che l'Italia non ha i mezzi, gli uomini, le risorse necessarie ad affrontare una guerra che si preannuncia mondiale. Mussolini prova a prendere tempo, ma i suoi atti non sono decisivi né risoluti, finché arriverà a decidere di entrare in guerra nonostante tutti i suoi collaboratori invochino la non belligeranza e la neutralità.
Mussolini vuole sedersi al tavolo delle trattative dalla parte dei vincitori, convinto di poter ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo.
Purtroppo la Storia ci racconterà qualcosa di diverso...
Niente di spettacolare. Tenersi sulla difensiva. Fare quel che si può. Non arrivare troppo tardi. Non fare “la figura dei corvi”. Questa la strategia politico-militare del Duce del fascismo per combattere la Seconda guerra mondiale. Con lo spiacevole corollario di dover sfidare nel Mediterraneo la più potente flotta che abbia mai preso il mare nella storia dell’umanità.
Questo libro credo che rappresenti qualcosa di molto attuale in questo nostro periodo storico. Mi viene sempre in mente la frase di Giambattista Vico quando parla di corsi e ricorsi storici. La Storia andrebbe conosciuta per provare a evitare di commettere gli stessi errori. Siamo capaci di farlo? Stiamo provando a farlo?
Io credo che siamo un popolo che ha la memoria corta. Che non conosce o non vuole conoscere la Storia, che fa quasi finta di ignorarla o che qualcosa che, purtroppo, ci appartiene non sia mai accaduto.
Proviamo a non fare finta di non vedere o di non capire, non giriamoci dall'altro lato e proviamo tutti, ognuno nel nostro piccolo, a fare in modo che ciò che è stato non sia ancora.
Recensioni degli altri volumi della serie:
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