John Steinbeck, Furore.
Prima edizione originale: The Grapes of Wrath 1939.
Prima edizione italiana 1940.
Letto in edizione Bompiani, con traduzione integrale di Sergio Claudio Perroni.
Pietra miliare della letteratura americana, Furore è un
romanzo mitico, pubblicato negli Stati Uniti nel 1939 e coraggiosamente
proposto in Italia da Valentino Bompiani l'anno seguente. Il libro fu
perseguitato dalla censura fascista e solo oggi, dopo più di 70 anni, vede la
luce la prima edizione integrale, nella nuova traduzione di Sergio Claudio
Perroni. Una versione basata sul testo inglese della Centennial Edition
dell'opera di Steinbeck, che restituisce finalmente ai lettori la forza e la
modernità della scrittura del Premio Nobel per la Letteratura 1962.
Nell'odissea della famiglia Joad, sfrattata dalla sua casa e dalla sua terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come migliaia e migliaia di americani, rivive la trasformazione di un'intera nazione. L'impatto amaro con la terra promessa dove la manodopera è sfruttata e mal pagata, dove ciascuno porta con sé la propria miseria ''come un marchio d'infamia''.
Al tempo stesso romanzo di viaggio e ritratto epico della lotta
dell'uomo contro l'ingiustizia, Furore è forse il più americano dei
classici americani, da leggere oggi per la prima volta in tutta la sua
bellezza.
Nell'anima degli affamati i semi del furore sono diventati acini, e gli acini grappoli ormai pronti per la vendemmia.
Furore, capolavoro di John Steinbeck, fu pubblicato nel 1939 ed ebbe subito grandissimo successo, tanto che l'anno successivo vinse il premio Pulitzer.
In Italia arrivò nel 1940, segnalato da Elio Vittorini all'editore Bompiani che ebbe l'intuizione del titolo Furore per la versione italiana.
Qui da noi fu fatto circolare con qualche taglio e censura per diffondere la visione di un'America violenta e brutale. Una visione chiaramente a sostegno della propaganda fascista.
In America Steinbeck ebbe delle dure critiche delle quali si curò sempre molto poco, affermando che lui non scriveva né per fare politica né per vincere premi. Scriveva per l'uomo, il soggetto di Steinbeck è il genus homo e i temi universali che lo riguardano: il dolore, la paura, la sofferenza, la speranza. E questo è ciò che emerge da Furore.
Terribile è il tempo in cui l'Uomo non voglia soffrire e morire per un'idea, perché quest'unica qualità è il fondamento dell'Uomo, e quest'unica qualità è l'uomo in sé, peculiare nell'universo.
Furore è la storia della famiglia Joad, una famiglia di
mezzadri che si trova costretta ad abbandonare la propria casa e la propria
terra per andare a cercare lavoro e, magari, fortuna altrove.
Il romanzo è ambientato negli anni della Depressione
americana affiancata a una forte siccità che avevano causato crisi e messo in
ginocchio gli agricoltori.
I Joad, come molte altre famiglie, decidono di partire dirigendosi verso la California, percorrendo la Route 66, convinti che lì troveranno lavoro e riuscendo costruirsi un futuro migliore.
La Route 66 è la principale strada migratoria. [...]
La 66 è il sentiero di un popolo in fuga, di chi scappa dalla povere e dal rattrappirsi delle campagne, dal tuono dei trattori e dal rattrappirsi delle proprietà, dalla lenta invasione del deserto verso il Nord, dai turbinosi venti che arrivano ululando dal Texas, dalle inondazioni che non portano ricchezza alla terra e la depredano di ogni ricchezza residua. Da tutto ciò la gente è in fuga, e si riversa sulla 66 dagli affluenti di strade secondarie, piste di carri e miseri sentieri di campagna. La 66 è la strada madre, la strada della fuga.
Furore è un romanzo scritto nel secolo scorso, in un'epoca
lontana dalla nostra, ma che potrebbe tranquillamente essere ambientato nel
tempo attuale.
La condizione di emigrato in cerca di lavoro e di una vita migliore, è una condizione che contraddistingue l'uomo in ogni epoca. E non possiamo negare che l'emigrato venga visto sempre un po' negativamente, venga spesso denigrato, insultato, vessato. Succede ai Joad, è successo agli Italiani emigrati in America, ai meridionali che dal Sud Italia si spostavano al Nord, succede ai migranti che scappano da Paesi martoriati da guerre e fame.
La vita randagia li cambiò; le grandi arterie, i bivacchi lungo la strada, la paura della fame e la fame stessa li cambiarono. I figli affamati li cambiarono, l'interminabile vagare li cambiò. Erano emigranti. E l'ostilità li cambiò, li saldò, li unì; l'ostilità che induceva i centri abitati a raggrupparsi e a equipaggiarsi come per respingere un invasore, manipoli armati di manici di piccone, garzoni e bottegai armati di fucili, per difendere il mondo contro gente del loro stesso sangue.
E i grossi proprietari cui una sommossa avrebbe fatto prendere tutte le terre, i grossi proprietari con accesso alla Storia, con occhi per leggere la Storia e ricavarne la grande verità: quando le mani in cui si accumula la ricchezza sono troppo poche, finiscono per perderla. E la verità accessoria: quando una moltitudine di uomini ha fame e freddo, il necessario se lo prende con la forza. E la piccola ma sonora verità che echeggia lungo la Storia: la repressione serve solo a rinforzare e unire gli oppressi.
Le figure dei protagonisti sono molto rappresentative, ma ce n'è una che emerge tra tutte, o almeno che mi ha colpita più di tutte e che, all'interno della storia, ha un cambiamento e un'evoluzione del suo ruolo, è la figura di Ma', anche se non credo ci sia un vero e proprio cambiamento: era già tutto dentro di lei e tutti sapevano che lei sarebbe stata sempre determinante.
Ma' [...] i suoi occhi nocciola sembravano aver vissuto ogni tragedia possibile, salendo come gradini il dolore e la sofferenza fino a raggiungere una comprensione sovrumana e un sommo equilibrio. Sembrava conoscere, accettare, gradire il suo ruolo di cittadella della famiglia, di roccaforte inespugnabile. E poiché il vecchio Tom e i figli non potevano conoscere sofferenza o paura se lei non denunciava sofferenza e paura, aveva imparato a rinchiudere l'una e l'altra dentro se stessa. E poiché ,quando succedeva qualcosa di lieto, loro la guardavano per vedere se in lei ci fosse gioia, si era abituata a trarre motivo di riso da faccende che non ne avevano. Ma meglio della gioia era l'equilibrio. Il senso della misura dà affidamento. E il grande e umile ruolo di Ma' in seno alla famiglia le aveva conferito dignità e una nitida, equilibrata bellezza.
Il suo ruolo di risanatrice aveva dato alle sue mani sicurezza, nerbo, sapienza; il ruolo di arbitro l'aveva resa remota e infallibile, come una dea.
Sembrava sapere che se lei avesse vacillato, l'intera famiglia avrebbe tremato, e che se le un giorno si fosse trovata a cedere o a disperare davvero, l'intera famiglia sarebbe crollata, avrebbe smarrito ogni volontà di funzionare.
Questo libro mi ha lasciato senza fiato e quasi senza parole. C'è voluto un po' di tempo prima che riuscissi a farne la recensione. Volevo che ciò che avevo letto sedimentasse e maturasse dentro di me, volevo riuscire a trovare il giusto modo per raccontare questo capolavoro. È anche per questo che ho voluto corredare la recensione di molte citazioni perché credo che le parole di Steinbeck abbiano molto da dirci e molto su cui farci riflettere ancora oggi a distanza di così tanti anni.
Ho veramente amato questo libro e penso che non si possa fare a meno di leggerlo.
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